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Una legge bavaglio anche in Sudafrica...
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di Roberto Bertoni

Una legge bavaglio anche in Sudafrica... Quando, nel 1967, Marco Bellocchio decise di intitolare uno dei suoi più celebri film “La Cina è vicina”, qualcuno probabilmente deve aver pensato: “Questo o è un pazzo o è un visionario”. La Cina, infatti, dista da noi oltre diecimila chilometri, ma cosa sono diecimila chilometri oggi, negli anni del mondo globale, dei social network, dei cellulari super-avanzati, delle televisioni satellitari, dei siti internet grazie ai quali si possono ricevere aggiornamenti in tempo reale su ciò che accade dall’altra parte del Pianeta?
Ce lo siamo chiesto, noi di Articolo 21, quando abbiamo appreso quello che sta avvenendo in Sudafrica, dove l’African National Congress (il partito che fu di Nelson Mandela, ininterrottamente al potere dal 1994 con una maggioranza quasi assoluta) ha approvato nella Camera bassa una legge-bavaglio in piena regola, ancora più grave di quelle che tante volte abbiamo denunciato negli anni dei governi di Berlusconi.

Il “Secrecy bill”, così si chiama questo nuovo progetto di legge, prevede, infatti, dai cinque ai venticinque anni di carcere per i giornalisti che pubblicheranno documenti secretati e il massimo della pena in caso di sospetto spionaggio; inoltre, essa amplia, non di poco, i margini entro cui qualsiasi ente o organo pubblico può chiedere la secretazione di ogni informazione sensibile o “preziosa”, come è stata definita. E non solo tali informazioni non potranno più essere divulgate ma sarà punito anche il loro possesso, in nome di una presunta necessità di sostituire una legge del 1982 contro lo spionaggio.

Qualcuno dirà: “Certo che siete proprio dei fissati!”. I soliti intellettuali “terzisti” ci accuseranno di soffrire per la mancanza di Berlusconi, di non sapere cosa scrivere avendo perso il nostro “nemico storico” e altre critiche scontate di questo tipo. Altri ancora si limiteranno a constatare che sì, va bene parlare del Sudafrica, è giusto avere uno sguardo attento sulle vicende internazionali, però… con tutti i problemi che ha l’Italia.

Noi, al contrario, riteniamo doveroso occuparci di questa vergogna sudafricana proprio perché l’Italia ha già tanti problemi e perché questo è un mondo globale in cui le false difese della sicurezza con le quali si limitano le garanzie democratiche fanno scuola e si diffondono con una rapidità inimmaginabile fino a poco più di un decennio fa.
Infatti, anche gli Stati Uniti distano circa diecimila chilometri da noi, ma non ci pare che la crisi economica che là si è originata abbia risparmiato l’Europa, e tanto meno l’Italia.

Come dicevamo, il Sudafrica è lontano, ma l’esistenza di Articolo 21 dimostra che l’Italia non è certo estranea a pulsioni totalitarie e a un certo desiderio, diffuso soprattutto tra i sostenitori a oltranza del berlusconismo morente, di avere un’informazione docile e addomesticata, con giornalisti che sappiano sempre quali notizie fornire e quali censurare e telegiornali che operino tagli chirurgici e omissioni mirate al fine di rappresentare un Paese ben diverso da quello reale.
È ben per questo che ci associamo alla denuncia lanciata dal premio Nobel per la Letteratura, Nadine Gordimer, in occasione del suo ottantesimo compleanno: “La gente ha combattuto ed è morta per avere la possibilità di una vita migliore” dopo anni di segregazione. “L’ANC – ha aggiunto – sta riportando il Sudafrica indietro, agli anni dell’apartheid in cui la libertà di espressione veniva soppressa”.

Anche l’arcivescovo Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace, è insorto contro quest’obbrobrio: “Il giornalismo investigativo è importante per cercare la verità, quello che vogliono fare con questa legge è un insulto”.
Se abbiamo deciso di sostenere questa battaglia dei fratelli sudafricani, è proprio perché noi non siamo malati di anti-berlusconismo ma siamo contrari ad ogni forma di violazione della libertà e dei diritti civili e perché sappiamo bene cosa significhi doversi tappare la bocca con un fazzoletto per manifestare il proprio dissenso e il proprio sdegno nei confronti di provvedimenti che costituiscono un pericolo per la democrazia.

Ci auguriamo di cuore che la Camera alta, il Consiglio nazionale delle province, e il presidente Zuma, leader del Sudafrica e dell’ANC, non ratifichino questa legge che vanificherebbe molte delle lotte compiute da Mandela e porrebbe questo partito nella singolare condizione di applicare un nuovo tipo di apartheid dopo aver combattuto quello razziale per una vita e aver elevato questa lotta a ragione della propria esistenza politica.
Se così non dovesse essere, prenderemo duramente posizione, magari listando a lutto il sito o ponendo in alto la bandiera sudafricana, nella speranza che a nessun altro governante venga in mente di segregare la libertà d’informazione, riportando un’intera Nazione al 1977, quando la stampa fu messa a tacere dal razzismo e dalla discriminazione di Stato e il suo massimo oppositore era rinchiuso nel carcere di Robben Island.




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