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Discontinuità e regole
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di Nella Condorelli

Discontinuità e regole

La manifestazione promossa dal comitato nazionale di Se non Ora quando? pone l’accento su una questione fondamentale che non si esaurirà domenica 11 dicembre e che va oltre la riflessione sul verticismo della decisione politica che in queste settimane – da quando la manifestazione è stata lanciata -  ha animato il dibattito tra i vari comitati cittadini e regionali SNOQ, alcuni dei quali attestati sul No per mancanza di un’analisi e una piattaforma politica condivisa, altri sul Sì “vigilato” e declinato con analisi e proposte proprie, altri ancora sul Sì e basta.
Dico “non si esaurisce” perché questa riflessione – che conduce strettamente al cuore della pratica politica del movimento delle donne, delle relazioni tra i gruppi, da quando il femminismo anni Settanta e quello a seguire hanno posto all’ordine del giorno parole come differenza, autonomia, riconoscimento, autorevolezza - , rischia di diventare un puro esercizio, persino di essere considerata estremamente “datata”, se non la si collega strettamente alle questioni odierne della “discontinuità”, dunque delle “regole”.

Tengo innanzitutto a dire che questo ragionamento non è solo mio, al contrario emana da un bisogno collettivo di andare al fondo delle cose che in queste settimane ha infuocato telefoni e computer della nostra redazione, trovando una sintesi simbolica nel “prima” e nel “dopo” dei lavori dell’assemblea nazionale che, sabato 3 e domenica 4 dicembre, hanno chiuso a Roma il XV congresso dell’UDI.
Dunque “discontinuità” e “regole”. Questioni politiche strettamente collegate, e non dico niente di nuovo ricordando che diciassette anni di premierato di Silvio Berlusconi (poco meno del ventennio fascista), di imposizione del suo modello di governo autoritario paternalistico sostenuto da un populismo mediatico a carattere patriarcale a spese dirette della popolazione femminile, nel lavoro e nella famiglia, e ben riassunto dalla (in)cultura popolare del “‘ghe pensi mi”, ci obbligano tutte e tutti a guardarci dentro, perché la discontinuità da quel modello sia veramente una pratica quotidiana riconosciuta e riconoscibile, in grado di suscitare il cambiamento di abitudini per troppo tempo, quasi il segno di una generazione, assunte come unica formula del rapporto con il potere, e con i poteri, ovunque essi si declinino.

Che cosa significa questa “discontinuità” per le donne? Di potere e dell’omologazione al potere maschile, il movimento ha sempre ragionato, con grandi difficoltà. Eppure, oggi sento i lampi di un dolore più acuto. Posto sul terreno della discontinuità dal modello berlusconiano di gestione del potere, quel ragionamento - che tocca una delle parole d’ordine fondamentali della differenza politica proposta alla società dal movimento delle donne: “partire da sé” - , ci costringe infatti a mettere in primo piano la nostra capacità di rivoltare noi stesse come un calzino, per liberare la parte di noi prigioniera di quel berlusconismo. La fatale attrazione, di scambio, tra carnefice e vittima - uno dei terreni di indagine psicanalitica più frequentati dal tempo dei miti per arrivare a Freud e Jung, rivisitati dal femminismo - , è in sostanza l’archetipo che presiede alle domande che ci facciamo e che rivolgiamo al movimento stesso: sino a che punto e’ possibile riconoscere che le donne, già vittime della visione berlusconiana del femminile e della sua rappresentazione fragilizzata a tutto appannaggio del potere maschile, si riscoprano oggi malate dello stesso virus? E’ possibile ragionare su una pratica visibile di discontinuità politica declinata in termini di genere, come presupposto fondamentale al cambiamento culturale e morale del Paese entro cui si gioca anche la partita della parità uomo-donna? Anzi, è possibile chiedere alle donne, al movimento, di intestarsi questa battaglia per tutte e tutti, partendo da sé, per ridare alla stressata società italiana quella solidarietà sociale stracciata dalle infiltrazioni a pioggia del modello di gestione individuale e personale del potere e dei suoi benefici?
Insomma, possiamo declinare con visione di genere l’urgente necessità di  regole chiare e condivise, le vecchie care e mai trapassate regole della democrazia, le uniche in grado di rappresentare in un’architettura egualitaria tutte le differenze?

Ho un timore: che senza questa presa collettiva di sfida, le battaglie che conduciamo per raggiungere l’uguaglianza prevista dalla Costituzione, quelle per questioni oggi pressanti come per esempio le risposte da dare sull’impatto sulle donne della crisi economica e finanziaria, o sulle misure di austerità governative, finiscano per rimanere confinate in un limbo di parzialità, destinato a chiudersi sempre di più, fatalmente chiamato a riprodurre quei modelli di potere verticistico e oscuramente patriarcale che abbiamo combattuto. Ancora una volta, il corpo delle donne come santuario del maschile alieno da custodire, ma questa volta senza margini di libertà. Se non quelli che con dolore, scavando in noi stesse, riusciremo a declinare.

In questo senso, l’assemblea che ha concluso i lavori del XV congresso UDI è stata un momento che simbolicamente ci riguarda tutte, e non solo le iscritte all’associazione. Dal punto di vista della cronaca politica, sono state approvate le modifiche allo statuto, ed elette due nuove responsabili nazionali: Vittoria Tola e Grazia Dell’Oste. Dal punto di vista simbolico, nella due giorni romana che ha portato a queste conclusioni si sono ritrovate tutte, ma veramente tutte, le tensioni e le contraddizioni  della pratica politica delle donne di fronte alla rappresentanza ed al potere.
Storica associazione femminile, pezzo fondante della storia del movimento delle donne nella Repubblica, dai Gruppi di Difesa e dalle partigiane combattenti della Resistenza sino ai nostri giorni con la trasformazione del nome da Unione Donne Italiane ad Unione Donne In Italia – modifica che da solo ne racconta il percorso dentro le trasformazioni sociali del Paese – in più di sessantanni di vita associativa e politica l’UDI non si è fatta mancare niente… Da associazione unitaria negli anni quaranta del Novecento, agli albori della sua nascita nell’esilio antifascista di Parigi, ad associazione delle donne dei partiti storici della sinistra dopo la nascita della Repubblica, ai rapporti con il movimento femminista degli anni Settanta, sino all’XI Congresso che, nel 1981, mise al centro della discussione politica l’organizzazione, le sezioni ed il ruolo delle dirigenti, decretandone alla fine lo scioglimento e l’azzeramento, in nome della sperimentazione di pratiche come l’autoproposizione.

Trentanni dopo, il bilancio di quella decisione rivela luci ed ombre. La parola politica dei gruppi, che a macchia d’olio hanno continuato l’azione politica sui territori, ha fatalmente avuto bisogno col tempo di una sintesi che il vuoto creato dall’assenza di un ragionamento vero sull’organizzazione, propositivo e svincolato da ideologismi, ha reso problematica. Il carisma delle personalità, divenute anche controvoglia soggetti forti di un’organizzazione-non organizzazione, ha finito per imporsi tanto sul piano delle scelte di politiche che su quello della gestione e dei destini collettivi. La composizione dei conflitti in un quadro rappresentativo della loro ricchezza si è scontrata con la vecchia questione del leaderismo, e dei rapporti di forza che esso genera. La rotta di collisione tra i gruppi territoriali e la sede nazionale, assurta negli anni da punto di riferimento a vera e propria centrale di proposta politica,  è divenuta inevitabile.
Di positivo c’è che oggi l’UDI  è riuscita ancora un volta a dare corpo e voce a questo conflitto, nominandone tutte le ricadute sulla pratica politica e la rappresentanza, e rimettendosi in discussione. Lo ha fatto con una battaglia congressuale decisa e gestita con le regole della democrazia: delega, discussione, confronto, voto. La maggioranza delle delegate vi ha aderito, chi non lo ha fatto ancora ricercando alternative a questa pratica, che anch’io ritengo impossibili, alla fine le ha comunque accettate.
Mettetela come volete, ma questa a mio avviso è una sfida politica per tutte e tutti che le donne dell’UDI, nessuna esclusa, stanno cercando di declinare. Credo che i movimenti appena nati come SNOQ possano cavarne un’importante contributo.  

Se non le donne... chi? - di Tiziana Ferrario / El pueblo (femenino) jamas sera vencido - di Anna Scalfati / IL VIDEO / IL PROGRAMMA


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