di Simona Silvestri
Rosarno, in questi giorni, è finita due volte sulle pagine dei quotidiani nazionali. Se da una parte i riflettori si sono accesi a causa dei violenti scontri tra immigrati e “paesani”, dall’altra la cittadina calabrese è stata coinvolta in un’importante operazione antimafia coordinata dalla squadra mobile di Reggio Calabria in collaborazione con quella di Bologna. Obiettivo, il clan calabrese dei Bellocco di Rosarno, di fatto “i padroni” della Piana di Gioia Tauro.
Nel corso del procedimento sono state emesse 17 ordinanze di custodia cautelare e sono stati sequestrati beni di valore per un importo di centinaia di migliaia di euro. Secondo gli investigatori i Bellocco, forti dell’aver trovato in Emilia “un tessuto sociale e una qualità di vita molto positive che gli consentivano, da un lato, di continuare a tenere i rapporti con gli affiliati calabresi stando a distanza, dall'altro di cominciare a pensare di estendere gli affari al nord” stavano cercando di trasferire la propria attività di traffico illecito di sostanze stupefacenti, di riciclaggio di denaro sporco e di usura, approfittando di normali lavori come copertura.
Gli arresti, di certo rilevanti sul piano della lotta alla criminalità, hanno riportato all’attenzione dell’opinione pubblica un fenomeno piuttosto preoccupante: quello dell’infiltrazione mafiosa al Nord Italia, e più specificatamente in Emilia Romagna.
Che la ricca Emilia fosse uno degli obiettivi più ambiti dalla criminalità organizzata non è una novità. Nel corso degli ultimi tre decenni la regione è stata, infatti, sempre più oggetto di infiltrazioni criminali, a mano a mano che cresceva il flusso migratorio dal Sud Italia.
Il caso della sola Reggio Emilia, a tale proposito, è esemplare. Durante gli Anni Novanta la città attraversa un periodo di grande sviluppo: il tasso di crescita è altissimo, l’immigrazione raggiunge punte elevate, lo sviluppo urbanistico probabilmente è uno dei più imponenti in tutta l‘Emilia Romagna. In quegli anni si sviluppa l’asse Reggio-Cutro: provengono, infatti, per la maggior parte dal piccolo centro calabrese i numerosi operai e muratori impegnati nei tanti cantieri sparsi nella città. L’afflusso d’immigrati italiani in quel periodo è incredibile, tanto che in città la zona abitata dai calabresi viene ben presto ribattezzata Cutro town. Oltre agli onesti operai che “salgono” a Reggio per trovare uno stipendio più dignitoso, inizia l’opera d’infiltrazione della criminalità organizzata, che si arricchisce grazie al caporalato e all’apertura di locali di copertura. Ebbene proprio in quegli anni si sviluppa anche nella cittadina emiliana una vera e propria guerra di ’ndrangheta, che miete vittime tra Cutro e Reggio Emilia.
Oggi gli omicidi di ‘ndrangheta nella zona sono finiti, ma non il potere sotterraneo delle cosche.
Nel febbraio scorso a lanciare l’allarme era stato lo studioso di organizzazioni criminali Antonio Nicaso nel corso del convegno “Impresa, territorio, legalità” promosso dalla Confcooperative, dal Consorzio Oscar Romero e dalla Camera di Commercio: "Le affermazioni di collaboratori di giustizia dicono che a Reggio Emilia vi sono cinque locali di ‘ndrangheta" (ovvero gruppi di ‘ndrine, famiglie appartenenti all’organizzazione)”. L’attenzione di Nicaso si concentrava su cinque località ben precise: Reggio Emilia, Novellara, Reggiolo, Scandiano, Bibbiano. A rafforzare quanto detto da Nicaso in quell’occasione ci furono anche le parole del Procuratore Nicola Gratteri, della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, il quale ribadì la necessità di alzare il livello di guardia.
Quello di Reggio Emilia purtroppo non è un caso isolato, se si considerano gli arresti del luglio scorso, a Modena, di alcuni affiliati al clan camorristico dei casalesi, alcuni dei quali di origine modenese, e non campana, a testimoniare un’infiltrazione più approfondita e preoccupante del fenomeno. Ancora, nel marzo 2009 a Parma, grazie all'operazione “Compendium”, condotta dalle Squadre Mobili di Caltanissetta, Firenze, Genova, Brescia, Reggio Emilia, Agrigento, Trapani, Pordenone, venne smantellato uno degli epicentri economici della cosca Emmanuello, i cui membri si dedicavano alla gestione di un'occulta centrale di collocamento.
Nel 1998 uscì un saggio di Enzo Ciconte, consulente della commissione parlamentare antimafia, dal titolo: “Mafia, camorra e ‘ndrangheta in Emilia Romagna”, sulla presenza della ‘ndrangheta a Reggio Emilia. Da allora sono trascorsi dodici anni, e qualcosa sembra essere cambiato: le 'ndrine hanno capito che il silenzio avrebbe potuto favorire i loro affari, molto più degli assassinii.
Per questo, oggi più di allora, c’è bisogno di fare rumore, al sud come al nord. In questo sembra proprio che l’Italia sia un paese a un’unica velocità.