Articolo 21 - ESTERI
Tunisia un anno dopo. Mohamed, primo martire della primavera araba
di Antonella Napoli*
Un anno fa, il 14 gennaio 2011, la fuga di Zine El Abidine Ben Ali dalla Tunisia decretò la fine di una dittatura durata oltre 20 anni e il successo della rivolta da cui prese il via la primavera araba, i cui echi si odono ancor oggi in Siria, Bahrein e Yemen. Ricordare questo anniversario è doveroso e ancor di più lo è commemorare colui che immolandosi senza esitazioni ha infuso coraggio e determinazione alla ribellione dei giovani tunisini che da quel momento hanno deciso di non sottostare più alle logiche assolutiste e oppressive di un regime ammantato da una finta aura democratica.
Mohamed Bouazizi, venditore ambulante di verdure, mai avrebbe voluto essere un eroe. Era solo un ragazzo di 26 anni che non voleva più subire le angherie di un sistema corrotto che non gli permetteva di vivere dignitosamente e di provvedere alla sua famiglia con il suo duro lavoro.
Nonostante fosse laureato non era rimasto ad attendere quell'impiego migliore che per lui e altre migliaia di coetanei era solo un miraggio. Si era rimboccato le maniche e aveva cominciato a vendere vegetali. Certo non aveva una licenza, ma era onesto e rispettoso delle autorità. Tutto cambiò quando il suo banchetto abusivo, l'unica fonte di sostentamento per sé e per la sua famiglia, gli fu confiscato. La risposta alla richiesta di comprensione rivolta al poliziotto che gli aveva sequestrato tutto fu un sonoro schiaffone in faccia. Così la sua disperazione si trasformò in rabbia.
Non era un violento Mohamed ma non sarebbe più stato inerme. In quel momento maturò la decisione di dare un segnale che mostrasse quanto la situazione dei giovani tunisini, senza alcuna prospettiva in un paese in cui il 50% dei laureati era disoccupato e i prezzi dei beni alimentari erano in continuo aumento, fosse drammatica.
Per questo il 17 dicembre del 2010 si inzuppò di benzina e si diede fuoco davanti all'ufficio del governatore di Sidi Bouzid, sua città natale.
La sua agonia durò 18 giorni, si spense il 4 gennaio nell'ospedale di Ben Arous.
Il gesto di questo giovane senza più speranze ha innescato una reazione a catena che ha portato alla luce la frustrazione crescente in tutto il mondo arabo, esplosa poi in rivolte in Egitto, Libia, Iran, Sudan, Yemen, Bahrein e Siria dove tuttora continuano dimostrazioni represse nel sangue.
Nel corso dell'ultimo anno molte cose sono cambiate. In Tunisia si sono svolte libere elezioni parlamentari, si è insediato un ampio e rappresentativo governo ed è stato indicato un autorevole presidente riconosciuto da tutti. Insomma, segnali di un cambiamento che porta dritto verso una democrazia compiuta.
Ma la strada verso il riconoscimento e il rispetto dei diritti umani è ancora lunga. L'Assemblea nazionale costituente eletta lo scorso ottobre dovrà redigere una nuova Costituzione. L'augurio, come auspicato nei giorni scorsi da Amnesty International, è che la nuova Carta costituzionale preveda quelle garanzie di base che avrebbero protetto i tunisini dagli abusi sofferti durante il governo di Ben Ali, violazioni dei diritti umani come gli arresti arbitrari, processi iniqui e torture di ogni genere.
La speranza è che la NCA rispetti i trattati internazionali, firmati dalla Tunisia, e che quanto da essi enunciato abbia valore di legge nei tribunali. Tutto ciò sarà possibile solo se sarà garantita l'indipendenza degli organi giudiziari e le forze di sicurezza non avranno più il potere di prendere il sopravvento sulla democrazia, tanto duramente e dolorosamente conquistata.
Mohamed Bouazizi, venditore ambulante di verdure, mai avrebbe voluto essere un eroe. Era solo un ragazzo di 26 anni che non voleva più subire le angherie di un sistema corrotto che non gli permetteva di vivere dignitosamente e di provvedere alla sua famiglia con il suo duro lavoro.
Nonostante fosse laureato non era rimasto ad attendere quell'impiego migliore che per lui e altre migliaia di coetanei era solo un miraggio. Si era rimboccato le maniche e aveva cominciato a vendere vegetali. Certo non aveva una licenza, ma era onesto e rispettoso delle autorità. Tutto cambiò quando il suo banchetto abusivo, l'unica fonte di sostentamento per sé e per la sua famiglia, gli fu confiscato. La risposta alla richiesta di comprensione rivolta al poliziotto che gli aveva sequestrato tutto fu un sonoro schiaffone in faccia. Così la sua disperazione si trasformò in rabbia.
Non era un violento Mohamed ma non sarebbe più stato inerme. In quel momento maturò la decisione di dare un segnale che mostrasse quanto la situazione dei giovani tunisini, senza alcuna prospettiva in un paese in cui il 50% dei laureati era disoccupato e i prezzi dei beni alimentari erano in continuo aumento, fosse drammatica.
Per questo il 17 dicembre del 2010 si inzuppò di benzina e si diede fuoco davanti all'ufficio del governatore di Sidi Bouzid, sua città natale.
La sua agonia durò 18 giorni, si spense il 4 gennaio nell'ospedale di Ben Arous.
Il gesto di questo giovane senza più speranze ha innescato una reazione a catena che ha portato alla luce la frustrazione crescente in tutto il mondo arabo, esplosa poi in rivolte in Egitto, Libia, Iran, Sudan, Yemen, Bahrein e Siria dove tuttora continuano dimostrazioni represse nel sangue.
Nel corso dell'ultimo anno molte cose sono cambiate. In Tunisia si sono svolte libere elezioni parlamentari, si è insediato un ampio e rappresentativo governo ed è stato indicato un autorevole presidente riconosciuto da tutti. Insomma, segnali di un cambiamento che porta dritto verso una democrazia compiuta.
Ma la strada verso il riconoscimento e il rispetto dei diritti umani è ancora lunga. L'Assemblea nazionale costituente eletta lo scorso ottobre dovrà redigere una nuova Costituzione. L'augurio, come auspicato nei giorni scorsi da Amnesty International, è che la nuova Carta costituzionale preveda quelle garanzie di base che avrebbero protetto i tunisini dagli abusi sofferti durante il governo di Ben Ali, violazioni dei diritti umani come gli arresti arbitrari, processi iniqui e torture di ogni genere.
La speranza è che la NCA rispetti i trattati internazionali, firmati dalla Tunisia, e che quanto da essi enunciato abbia valore di legge nei tribunali. Tutto ciò sarà possibile solo se sarà garantita l'indipendenza degli organi giudiziari e le forze di sicurezza non avranno più il potere di prendere il sopravvento sulla democrazia, tanto duramente e dolorosamente conquistata.
*giornalista, africanista esperta di questioni arabe
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