di Giuseppe Giulietti*
Le cappe di aspirazione della Faber, multinazionale del settore, si porteranno via anche i 200 lavoratori dello stabilimento di Fossato di Vico, comune umbro della fascia appenninica, situato tra Gubbio e Gualdo Tadino. Siamo andati a trovarli perchè ci hanno scritto chiedendo che si parli anche della loro storia confinata, sino ad oggi, solo nelle cronache dei giornali umbri e marchigiani. Li abbiamo trovati davanti ad un modernissimo stabilimento chiuso. Stanno davanti al portone, hanno montato una grande tenda, mangiano e dormono li, si danno i turni, incontrano studenti, cittadini, chiunque abbia voglia di andarli a incontrare e sentire la loro allucinante storia.
La Faber era di proprietá di una famiglia di Fossato,nel 2004 è stata venduta ad una multinazionale con sede in Svizzera e con stabilimenti in Francia, in Turchia, ora anche in India.
Nel 2010 la direzione del gruppo ha assegnato a questa fabbrica il premio come miglior stabilimento del gruppo.
Nel 2011 la stessa direzione ha comunicato che ci sarebbe stata una leggera riduzione della produzione: da 520 mila pezzi a 500 mila. Nulla di preoccupante, a talento che gli impianti erano stati potenziati con ulteriori investimenti.
Poi all’improvviso l’annuncio che questo stabilimento sarebbe stato chiuso, lasciando aperto, almeno per ora, l’impianto che si trova nelle vicende Marche. Un fulmine a ciel sereno, forse il preannuncio di una prossima delocalizzazione in Turchia. Alla faccia di quelli che dicono che in Italia non si potrebbe licenziare perchè l’articolo 18 sarebbe un insormontabile macigno…Passato il primo momento di disperazione, quelli di Fossato, il loro sindacato, i sindaci della zona, hanno deciso di reagire, realizzando questo vero e proprio presidio della libertà e della solidarietà, chiedendo a tutti, ed in particolare ai media, di non lasciarli soli, di dare voce alla loro storia, di raccontare come sia possibile che, dalla sera alla mattina, si possa chiudere una fabbrica viva e produttiva per andare altrove, per guadagnare di più, scaricando le persone che hanno prodotto ricchezza, quasi fossero un ingombro, roba vecchia da buttare nella più vicina discarica.
Per questo ci è sembrato giusto raccogliere il loro appello a non lasciarli soli, a raccontare anche qui la loro “avventura” e di far conoscere la storia della Faber. Se non altro servirà a farli sentire meno isolati e a far sentire, anche a livello nazionale, che esiste anche una Italia che continua a considerare “arcaica ed incivile” questa concezione delle relazioni industriali fondata sull’arbitrio, sulla arroganza, sul capriccio.
* Pubblicato su Il Fatto Quotidiano