di Vincenzo Vita*
La crisi de ‘il manifesto’ è l’epifania del disastro italiano dei media. Dopo l’amarissima chiusura cartacea di ‘Liberazione’, ecco dispiegarsi in tutta la sua violenza simbolica la vicenda del quotidiano già diretto da Luigi Pintor (che Enrico Berlinguer definì il più grande giornalista italiano), chiamato a suo tempo la ‘boutique’ della carta stampata nostrana. La dichiarazione di liquidazione coatta amministrativa è un avvertimento generale. Un paese a baricentro televisivo, ancora soggiogato dalla sottocultura berlusconiana, rischia di vedersi privare del fondamento della democrazia: la libertà di espressione, che in tanto ha senso in quanto permette alle voci meno tutelate dal mercato di esistere. E solo l’esistenza di queste ultime rende credibile quella dei grandi gruppi editoriali, altrimenti meri trust di un’economia concentrata e afflitta dai conflitti di interesse. L’effetto domino tocca un centinaio di testate, con un vasto indotto e quattromila esseri umani a produrre merce intellettuale.
Tutto ciò ha origini antiche: lo squilibrio del settore e l’invadenza commerciale del modello mediatico prevalente; e recenti: i tagli del centrodestra al ‘fondo’ dell’editoria, ridotto dalla manovra dell’agosto scorso a 53 milioni di euro, circa un decimo della cifra di pochi anni fa.
Tagli ‘lineari’ avvenuti in corso di anno finanziario, mettendo in causa bilanci già scritti, previsioni acquisite, affidamenti bancari al solito incerti, e ora preclusi. Si era sperato che un emendamento presentato da tanti parlamentari al decreto ‘milleproroghe’ trovasse aperture, ma non è stato così, dichiarato inammissibile perché ‘non proroga termini’, come se la vita ancora di un giornale non sia la prova stringente di una proroga vera, non formale. L’altra strada, un decreto del Presidente del consiglio per attribuire un pezzetto dello specifico capitolo di spesa a lui attribuito all’editoria, al momento starebbe nelle speranze del sottosegretario con delega Paolo Peluffo, cui facciamo i migliori auguri. E sappiano gli esponenti del governo che potremmo in poche ore mettere nero su bianco una riforma dei criteri di erogazione delle risorse pubbliche, moralizzandoli una volta per tutte.
Tuttavia, qui e ora non c’è che la crisi devastante di un mondo straordinario. Anzi, c’è uno scenario che assomiglia a quello di ‘Fahrenheit 451’. Il bavaglio volgare dell’epoca berlusconiana si presenta dentro l’abito bianco della censura di mercato? Non vorremmo doverlo constatare.
Non ci si deve arrendere. Mai. Ma c’è un limite a tutto. Molti di noi esultarono quel sabato sera che ci fece intravvedere l’uscita di Berlusconi da una porta secondaria del Quirinale. Il voto di fiducia al governo Monti fu una liberazione. Adesso, però, quella gioia sta finendo e se, per un oscuro destino, si facesse buio sulla stampa cooperativa, politica , locale, non profit la fiducia cesserebbe. Purtroppo. Ma, nell’era dell’informazione, qui sta il ‘punto di catastrofe’.
* Pubblicato su ''Il Manifesto''
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