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Iran. Onu: crescono le esecuzioni capitali. L'esperto: sintomo di crisi del regime
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di Roberta Gisotti*

Iran. Onu: crescono le esecuzioni capitali. L'esperto: sintomo di crisi del regime

421 condanne ufficiali, 249 segrete in gran parte connesse all’uso di stupefacenti, una ventina per offese contro l’Islam. Proprio oggi la notizia di altre due impiccagioni pubbliche, 15 dall’inizio dell’anno. Il Rapporto Onu denuncia molte altri delitti: persecuzione di minoranze, abusi sugli omosessuali, repressione dei sindacati. Forse siamo troppo abituati ad accettare le violazioni dei diritti umani, in particolare in Medio Oriente? Il prof. Vincenzo Pace, ordinario di Sociologia delle religioni all’Università di Padova esperto di diritti umani:

"Nel caso dell’Iran, c’è un’aggravante, perché in qualche modo passa nei media come un regime non democratico, tuuttavia non passano molto notizie relative a gravissime violazioni come quella della libertà religiosa. Lo dimostrano gli ultimi casi di persecuzione aperta verso pastori evangelici iraniani che si sono convertiti, o la storica persecuzione nei confronti del movimento Baha’i, che viene considerato una eresia intollerabile. Quindi, siamo di fronte a un regime che ha grandi problemi interni: rispetto ad altri Paesi che hanno conosciuto movimenti di sollevazione - la cosiddetta 'Primavera araba' - in Iran questi movimenti ci sono stati a più riprese e nel 2009 sembrava che l’"onda verde" dovesse effettivamente destabilizzare il regime. Invece, questo movimento è stato represso e oggi ci sono parecchie migliaia di detenuti, in prigione, che fanno parte della dissidenza politica."

Come lei ha notato, ancora una volta la religione è un alibi per la repressione delle libertà fondamentali…


Sì, senz’altro, come rivela in particolare questa vicenda di alcuni pastori evangelici: uno è in attesa dell’esecuzione che sarebbe dovuta avvenire in febbraio, ma poi è stata posticipata perché c’è stato un minimo di circolazione della notizia nei siti evangelici, per cui c’è stata una prima pressione sui governi, che a loro volta hanno fatto un tentativo di bloccare l’esecuzione. Ma ci sono altre storie di questo genere. Quindi, c’è anche un uso meditato del ricorso alla pena di morte, perché evidentemente c’è una "smagliatura" nel sistema religioso musulmano imposto dal regime: ci sono cioè persone che si convertono, che non si riconoscono più nella tradizione sciita… E si utilizzano le pene di morte per ripristinare un reato che è odioso in tutta la legislazione coranica, che è il reato di apostasia: queste persone vengono trascinate davanti ai tribunali, accusate di apostasia e quindi automaticamente o si pentono pubblicamente o, se non si pentono – come ormai avviene in molti casi – vengono condannate a morte. Quindi, la condanna a morte per impiccagione pubblica è una sorta di ammonimento feroce a chi, in qualche misura, anche attraverso la religione cerca di smarcarsi dal regime.

L’Onu ha chiesto, infatti, una moratoria sulla pena di morte e di consentire rappresentanti legali per le persone che vengono accusate a tutti i livelli. Ma, dobbiamo dire, saranno richieste destinate a cadere nel vuoto. Che cosa possiamo, invece, sperare per sovvertire questa situazione?

E’ una situazione molto difficile, perché da un lato ci sono le sanzioni economiche, con gli organismi internazionali che stanno già cercando di premere anche per evitare che si arrivi a una drammatica deriva militare. Non dobbiamo nasconderci che ci sono ambienti della destra israeliana che pensano sia ormai maturo e necessario un intervento militare, e dunque si profilerebbe un’altra catastrofica guerra in quell’angolo di mondo già martoriato. Quello che possiamo fare è far circolare queste notizie, far montare nell’opinione pubblica un po’ di indignazione e su queste cose forse le persone forse più avvertite del regime iraniano potrebbero essere sensibili. Certo, l’aumento abbastanza vertiginoso delle esecuzioni capitali è ovviamente legato a un altro fenomeno, che è un altro indicatore di grandissimo disagio sociale dell’Iran, e cioè che l’Iran, dopo l’avvento al potere di Khomeini, nel 1979, decise di distruggere tutti i campi di papavero, cioè di condurre una lotta senza quartiere alla droga. Ma, in realtà, sappiamo che dal 1999 ad oggi l’Iran è diventato uno dei maggiori mercati, crocevia di traffico di eroina e tutte queste esecuzioni che vengono eseguite in modo drammatico, in pubblico, per terrorizzare gli spacciatori, i grandi narcotrafficanti, in realtà non servono a niente. La moratoria in questo caso avrebbe anche il significato di dire: cosa sta succedendo nella nostra società? Perché c’è tutta questa eroina? Non è magari un sintomo gravissimo, questo, di un disagio sociale che monta, di gente che non crede più negli ideali della rivoluzione, di gente che sta male perché la vita media delle persone, dal punto di vista economico, ha subito un declassamento?. Insomma ci sono dei sintomi. Attraverso queste notizie che filtrano - che poi le reti di amici, colleghi che sono in collegamento con l’Iran ci confermano - si evince che la situazione economica sta degradando e che quindi il regime risponde con forza, con ferocia, dimostrando, in qualche modo, di non riuscire a gestire una situazione politica ed economica, interna ed esterna, sempre più complicata.

Quindi, se l’Iran lo permettesse, le Nazioni Unite potrebbero sostenerlo nella lotta contro le coltivazioni della droga?


Eh, sì…

Questo gioverebbe alla popolazione, soprattutto?

Sì, ma finché c’è questo regime, così tetragono, che ritiene di essere autosufficiente, di poter giocare un ruolo di leader che però non riesce più a giocare nella regione e al quale rimane solo una Siria, che è quella che è, e un pezzo di Libano dove sono gli Hezbollah e dove anche lì è in gravissima difficoltà... Insomma, l'Iran è consapevole di essere sull’orlo di una grave crisi e quindi anche questa retorica dell’atomica serve semplicemente a dimostrare, all’opinione pubblica interna e internazionale, che comunque si è in grado di essere autosufficienti. Ma la verità è un’altra.

Quindi, queste tante esecuzioni sono il sintomo di una crisi crescente nel Paese?

Sì, sì, senz’altro.

*tratto da http://www.oecumene.radiovaticana.org


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