di Giuseppe Crapanzano
Una partita di calcio in nome della difesa delle istituzioni e contro le intolleranze e il razzismo. Bisogna scendere giu’, nell’inferno dei campi sterrati della serie D, dove si suda per pochi spiccioli o soltanto per il gusto di giocare, per scoprire che esiste un “altro” calcio che puo’ finire sui giornali anche se non ci sono stati feriti e nessun arbitro e’ stato picchiato o sequestrato.
E non e’ un caso che le citta’ rappresentate in quel rettangolo di gioco, Rosarno e Caltanissetta (la cui squadra si chiama Nissa) siano tra le realta’ piu’ difficili del Mezzogiorno e ultimamente protagoniste di vicende centrali nella storia del paese.
Rosarno e’ la citta’ della rivolta degli extracomunitari che vivevano in una sottospecie di favelas e della loro successiva espulsione. Caltanissetta e’ invece la sede della procura della repubblica piu’ infuocata d’Italia, quella che coordina le indagini sulle stragi dei giudici e dei poliziotti a Palermo, cioe’ sui misteri il cui peso aumenta con lo scorrere degli anni.
Alla fine dell’incontro Rosarno-Nissa, terminato 1 a 1, i calciatori e dirigenti della squadra siciliana hanno dedicato il punto conquistato faticosamente in trasferta, ai magistrati bersaglio delle piu’ recenti minacce di Cosa nostra. E nel farlo li hanno citati uno ad uno: Sergio Lari, Domenico Gozzo, Giovambattista Tona, senza dimenticare l’ex sindaco di Gela, Rosario Crocetta, oggi eurodeputato, pure lui avvisato dalla mafia.
A dare simbolicamente il fischio d’inizio e’ stato, poi, Joan, un bambino africano. Un segno che la rivolta di Rosarno e le fucilate agli immigrati, davvero, non sono state condivise da tutti.
Una bella lezione quella che arriva da uno degli ultimi campi della periferia dell’impero calcistico, dove non ci sono vip inseguiti da paparazzi, ne’ nababbi travestiti da calciatori. Forse e’ proprio per questo che in una domenica qualunque, nel girone I della serie D, c’e’ stato il tempo di riflettere sulle cose serie.