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Sentenza Google: se si ripartisse dalla cultura del rispetto?
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di Elda Brogi

Sentenza Google: se si ripartisse dalla cultura del rispetto?

Fare commenti su una sentenza senza averne lette le motivazioni è intrinsecamente difficile e può risultare arbitrario. Tuttavia, la condanna pronunciata dal tribunale di Milano contro Google per violazione della privacy giustifica il clamore di questi giorni, sia per la questione che affronta, sia per il fatto che intorno alla sentenza si era creata una notevole aspettativa da parte dell'opinione pubblica e della stampa internazionale.
Il fatto che tanti commenti convergano su poche e talvolta confuse informazioni da un lato può portare ad analisi a rischio di smentita, dall'altro però testimonia una condizione di incertezza giuridica e la necessità di trovare una spiegazione immediata per una sentenza che potrebbe rischiare di far fuggire a gambe levate gli intermediari di servizi dall'Italia.
Di per sé la storia è nota: come si legge nel blog ufficiale di Google, alla fine del 2006, alcuni ragazzini torinesi hanno filmato e poi caricato su Google Video un filmato in cui molestavano un compagno disabile. Il filmato è rimasto un paio di mesi in rete, ma è stato eliminato da Google quando la polizia postale ha notificato l'abuso. Google ha collaborato con la polizia per l'identificazione dei responsabili che, individuati, hanno scontato dieci mesi di servizio a favore di persone disabili.
Nonostante questo, quattro dei dirigenti di Google Italia sono stati chiamati a rispondere di fronte al tribunale di Milano di violazione della privacy e concorso omissivo nel reato di diffamazione.
La sentenza di ieri ha assolto gli imputati dall'accusa di diffamazione e questa, tutto sommato, è una buona notizia perché pare escludere almeno su questo fronte un nesso causale tra l'omissione del controllo di Google e la diffusione del video ed escluderebbe l'implicazione di un controllo preventivo da parte di Google.
Come si evince da alcune dichiarazioni degli avvocati, la Procura ha mosso ai dirigenti Google due accuse in tema di privacy: la prima è quella secondo la quale non avrebbero rispettato gli obblighi relativi al trattamento di dati sensibili, che a valle comporterebbe l'acquisizione del consenso alla pubblicazione prima dell'immissione on line, la seconda, quella di non aver ottemperato al presunto obbligo di verifica col Garante per i dati personali, ex art 17 dlgs 196/2003, del servizio Google Video.
Per verificare la reale portata della sentenza occorrerà, quindi, aspettare la motivazione. Qualora fosse stato utilizzato il secondo motivo per giustificare la violazione della privacy, la questione potrebbe essere parzialmente ridimensionata; qualora il giudice avesse utilizzato il primo motivo, la vita di tutti gli host di contenuti creati dagli utenti si potrebbe fare forse più difficile in Italia: chiedere il consenso preventivo potrebbe risultare “diabolico” e comporterebbe sicuramente un controllo sui contenuti che le piattaforme come Google video escluderebbero per natura e che le farebbe ricadere in un'attività “editoriale” con rischio del principio generale dell'assenza di un controllo preventivo sui contenuti da parte degli intermediari del web, come sancito dalla direttiva europea e dal dlgs sul commercio elettronico.
Internet è un mezzo, una rete di comunicazione, un'autostrada dell'informazione. Tentare di costringerla in logiche simil televisive (con controlli ex ante da parte degli intermediari) non può che portare ad uno snaturamento della sua filosofia originaria che la vede come un mezzo estremamente libero e aperto. E' evidente che la responsabilità va ricercata in primo luogo in chi ha un diretto coinvolgimento nell'aver provocato un fatto dannoso, a rischio sennò di creare figure di responsabilità oggettiva o di cancellare il principio della personalità della responsabilità penale.
Ci auguriamo che, a tutela dei dati personali e della riservatezza anche gli intermediari incentivino un uso più responsabile del mezzo, senza che la libertà della rete sia limitata: ma se una prima soluzione fosse tentare di ricreare una cultura di fondo, a cominciare dalla scuola, che educasse ad un maggiore rispetto reciproco?

 


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