Articolo 21 - CULTURA
Chi ha paura dell'Istituto centrale del restauro?
di Giuseppe Basile
A partire dal prossimo 25 marzo l’Ufficiale Giudiziario potrà sigillare la Sede storica dell’Istituto Centrale del Restauro (ora Istituto Superiore Conservazione e Restauro), seppellendo così 70 anni di storia del restauro, non solo italiano: in compenso il Ministero Beni Culturali risparmierà 120.000 euro annui di affitto. Evidentemente non contano nulla anni e anni di “onorato servizio” in Italia e all’estero, restituendo dignità a migliaia di opere d’arte in gravissimo degrado, salvando da un inglorioso declino capolavori impantanati nella “burocrazia”, come il Cenacolo e la Cappella Scrovegni, ridando vita a cicli pittorici ridotti in macerie dalle bombe della II° Guerra mondiale, come la Cappella Ovetari del Mantegna, o da calamità naturali, come recentemente la Basilica di Assisi.
Eppure la scuola dell’Istituto, che in più di mezzo secolo ha formato parecchie centinaia di restauratori italiani e stranieri, è stata presa a modello da tutte le altre scuole nel mondo e, più recentemente, dalla Cina, dalla Serbia, dal Perù, dall’Egitto, dall’Africa Subsahariana (l’Ecole du Patrimoine Africain nel Benin) e il personale tecnico e scientifico dell’Istituto è stato da sempre, e spesso da solo, presente in tutte le situazioni a rischio, dalla piena dell’Arno, alle zone terremotate del Friuli, dell’ Irpinia, dell’Umbria per giungere agli attuali teatri di guerra, l’Ex Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq.
Si tratta del resto dell’ultimo atto di un disegno che, lucidamente, tende da anni a ridurre sempre più gli spazi di azione, di progettualità e di realizzazioni “esemplari”, che avevano fatto dell’Istituto sotto la direzione di Cesare Brandi l’unica realtà italiana, assieme al Gruppo di Enrico Fermi, che il sociologo del lavoro Domenico De Masi ha potuto includere tra i pochi gruppi creativi europei dell’ultimo secolo: misconoscendo le linee di ricerca strategiche per la salvezza del nostro Patrimonio Culturale, riducendo sempre più le risorse ordinarie e straordinarie fin quasi ad azzerarle, portando avanti da più di 30 anni la farsa indecente dell’impegno a riunificare tutto l’Istituto al S. Michele, salvo il fatto che i locali allora assegnati sono stati finora restaurati per meno della metà e che quello che è stato restaurato è stato assegnato (“provvisoriamente”, s’intende …) ad altri Uffici del Ministero.
Ora che, semplicemente, lo si vuole soffocare per interposta persona e nell’anonimia della “fatalità”, si cerca di capire perché, quando non c’è stata occasione pubblica di un qualche rilievo, in Italia e all’estero, in cui l’Istituto non sia stato presentato come il “fiore all’occhiello” di un Paese che ha nel restauro uno dei suoi massimi vanti a livello planetario, tanto da essere investito del ruolo di Paese –guida nell’ambito dell’ONU (“ caschi blu della cultura”): forse perché ha tentato e tenta di opporsi alla deriva consumistica che ha investito l’Autorità suprema di tutela dei nostri Beni Culturali? O perché continua a ritenere di rilevanza civile oltre che culturale un’attività basata sul rigore della professionalità?
Per riaffermare questi valori il personale e i direttori ICR non si sono mai risparmiati quando non hanno dovuto pagarne personalmente le conseguenze - Giovanni Urbani con le dimissioni, Michele Cordaro con conseguenze letali sulla salute.
Il Comitato di sostegno all’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, che conta tra i promotori le Università di Roma e della Tuscia, le Associazioni Brandi, Bianchi Bandinelli, Secco Suardo, il Comitato per la Bellezza, l’ECCO, l’ARI, Italia Nostra), ha rivolto un appello al Presidente della Repubblica, finora raccogliendo circa 4.000 adesioni, soprattutto di Enti e studiosi stranieri, e ha indetto per venerdi 12 marzo pv ( ore 17) all’Accademia Nazionale di S. Luca una manifestazione di solidarietà all’ISCR, chiamando a testimoniare studiosi, uomini ed Enti di cultura, interessati ad impedire che si chiuda nel silenzio la vicenda di una delle istituzioni più prestigiose della cultura italiana, esigendo al contrario dalle Autorità competenti impegni concreti e immediati in merito alle seguenti richieste:
1. rinviare la scadenza del contratto d’affitto a fine 2011 con impegno formale, da parte del MiBAC, ad avere restaurato e reso funzionali entro quella data i locali da tempo assegnati all’ISCR nell’Ex Istituto S. Michele , recuperando anche quelli già restaurati ma via via “provvisoriamente” occupati da altri Uffici ministeriali
2. in caso di reale impercorribilità di questa soluzione garantire almeno altri 6 mesi di proroga per consentire la presa in possesso e funzionalizzazione di spazi idonei alla prosecuzione dell’attività dell’ISCR, e in particolare la scuola (solo ora riattivata completamente dopo una inspiegabile eclissi), i laboratori scientifici con le loro apparecchiature costose e fragili , le attrezzature per l’attività di informatizzazione, ancora in corso, delle centinaia di migliaia di foto e documenti degli archivi storici
3. concreti impegni formali da parte del MiBAC a garantire all’ISCR le risorse necessarie a svolgere adeguatamente il suo ruolo istituzionale, invertendo così la tendenza recente ad attribuirgli funzioni residuali e di supplenza marginale
4. conservare all’ISCR almeno la Torre e gli altri ambienti già proprietà dei Borgia per adibirli a Museo del restauro, come già richiesto più volte a partire dal 1981
Potrebbe essere questa l’occasione per dimostrare nei fatti che l’Istituto non serve soltanto per gli annunci ad effetto - della serie che restaurerà la città proibita di Pechino (poi ridottosi ad un solo Palazzo e poi alla sola Sala del trono e neppure tutta) o che interverrà sulla Grande Muraglia Cinese ( 6.000 chilometri a costo zero! …), o per mettere una foglia di fico bonsai sulla inaccettabile abdicazione del Ministero competente in occasione del recente terremoto dell’Aquila – o, forse, più realisticamente, quanto ormai sia senza scampo la sua condanna per “inattualità” ?
Eppure la scuola dell’Istituto, che in più di mezzo secolo ha formato parecchie centinaia di restauratori italiani e stranieri, è stata presa a modello da tutte le altre scuole nel mondo e, più recentemente, dalla Cina, dalla Serbia, dal Perù, dall’Egitto, dall’Africa Subsahariana (l’Ecole du Patrimoine Africain nel Benin) e il personale tecnico e scientifico dell’Istituto è stato da sempre, e spesso da solo, presente in tutte le situazioni a rischio, dalla piena dell’Arno, alle zone terremotate del Friuli, dell’ Irpinia, dell’Umbria per giungere agli attuali teatri di guerra, l’Ex Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq.
Si tratta del resto dell’ultimo atto di un disegno che, lucidamente, tende da anni a ridurre sempre più gli spazi di azione, di progettualità e di realizzazioni “esemplari”, che avevano fatto dell’Istituto sotto la direzione di Cesare Brandi l’unica realtà italiana, assieme al Gruppo di Enrico Fermi, che il sociologo del lavoro Domenico De Masi ha potuto includere tra i pochi gruppi creativi europei dell’ultimo secolo: misconoscendo le linee di ricerca strategiche per la salvezza del nostro Patrimonio Culturale, riducendo sempre più le risorse ordinarie e straordinarie fin quasi ad azzerarle, portando avanti da più di 30 anni la farsa indecente dell’impegno a riunificare tutto l’Istituto al S. Michele, salvo il fatto che i locali allora assegnati sono stati finora restaurati per meno della metà e che quello che è stato restaurato è stato assegnato (“provvisoriamente”, s’intende …) ad altri Uffici del Ministero.
Ora che, semplicemente, lo si vuole soffocare per interposta persona e nell’anonimia della “fatalità”, si cerca di capire perché, quando non c’è stata occasione pubblica di un qualche rilievo, in Italia e all’estero, in cui l’Istituto non sia stato presentato come il “fiore all’occhiello” di un Paese che ha nel restauro uno dei suoi massimi vanti a livello planetario, tanto da essere investito del ruolo di Paese –guida nell’ambito dell’ONU (“ caschi blu della cultura”): forse perché ha tentato e tenta di opporsi alla deriva consumistica che ha investito l’Autorità suprema di tutela dei nostri Beni Culturali? O perché continua a ritenere di rilevanza civile oltre che culturale un’attività basata sul rigore della professionalità?
Per riaffermare questi valori il personale e i direttori ICR non si sono mai risparmiati quando non hanno dovuto pagarne personalmente le conseguenze - Giovanni Urbani con le dimissioni, Michele Cordaro con conseguenze letali sulla salute.
Il Comitato di sostegno all’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, che conta tra i promotori le Università di Roma e della Tuscia, le Associazioni Brandi, Bianchi Bandinelli, Secco Suardo, il Comitato per la Bellezza, l’ECCO, l’ARI, Italia Nostra), ha rivolto un appello al Presidente della Repubblica, finora raccogliendo circa 4.000 adesioni, soprattutto di Enti e studiosi stranieri, e ha indetto per venerdi 12 marzo pv ( ore 17) all’Accademia Nazionale di S. Luca una manifestazione di solidarietà all’ISCR, chiamando a testimoniare studiosi, uomini ed Enti di cultura, interessati ad impedire che si chiuda nel silenzio la vicenda di una delle istituzioni più prestigiose della cultura italiana, esigendo al contrario dalle Autorità competenti impegni concreti e immediati in merito alle seguenti richieste:
1. rinviare la scadenza del contratto d’affitto a fine 2011 con impegno formale, da parte del MiBAC, ad avere restaurato e reso funzionali entro quella data i locali da tempo assegnati all’ISCR nell’Ex Istituto S. Michele , recuperando anche quelli già restaurati ma via via “provvisoriamente” occupati da altri Uffici ministeriali
2. in caso di reale impercorribilità di questa soluzione garantire almeno altri 6 mesi di proroga per consentire la presa in possesso e funzionalizzazione di spazi idonei alla prosecuzione dell’attività dell’ISCR, e in particolare la scuola (solo ora riattivata completamente dopo una inspiegabile eclissi), i laboratori scientifici con le loro apparecchiature costose e fragili , le attrezzature per l’attività di informatizzazione, ancora in corso, delle centinaia di migliaia di foto e documenti degli archivi storici
3. concreti impegni formali da parte del MiBAC a garantire all’ISCR le risorse necessarie a svolgere adeguatamente il suo ruolo istituzionale, invertendo così la tendenza recente ad attribuirgli funzioni residuali e di supplenza marginale
4. conservare all’ISCR almeno la Torre e gli altri ambienti già proprietà dei Borgia per adibirli a Museo del restauro, come già richiesto più volte a partire dal 1981
Potrebbe essere questa l’occasione per dimostrare nei fatti che l’Istituto non serve soltanto per gli annunci ad effetto - della serie che restaurerà la città proibita di Pechino (poi ridottosi ad un solo Palazzo e poi alla sola Sala del trono e neppure tutta) o che interverrà sulla Grande Muraglia Cinese ( 6.000 chilometri a costo zero! …), o per mettere una foglia di fico bonsai sulla inaccettabile abdicazione del Ministero competente in occasione del recente terremoto dell’Aquila – o, forse, più realisticamente, quanto ormai sia senza scampo la sua condanna per “inattualità” ?
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