di N.T.
“ Noi vogliamo un giorno neutro che li ricordi tutti”. Don Luigi Ciotti è perentorio, applaudito dai familiari delle vittime di mafia e terrorismo che lo ascoltano, prima di partecipare e mettere in fila le loro storie. Da Milano, dove si tiene l’incontro dei familiari delle vittime, si leva l’invito: il 21 marzo, che da 15 anni Libera celebra, diventi per legge, come prevede una proposta bipartisan, la giornata della memoria, il giorno della memoria e dell’impegno. Ma il Pdl, in commissione affari costituzionali, si è spaccato e una parte dice no. Settori del partito, capaci di montare una polemica di bassa lega anche su questo, abituati al pollaio e alla rissa. Mentre Napolitano chiede basta divisioni, ci si divide anche su questo, non c’è che dire i prodigi del partito dell’amore.
“ C’è chi dice no – continua Don Ciotti - il 21 marzo non può essere riconosciuto per legge come la giornata di tutti, perché quella è la giornata di Libera, la palma della legalità non può essere di Don Ciotti”. E così i componenti della commissione propongono altri giorni, quello della morte di Falcone ad esempio, ma il punto è un altro: “ Ci vuole un giorno che li ricordi tutti – continua Don Ciotti - perché tutti i morti abbiano la stessa forza, la stessa dignità”. C’è un’altra proposta che è stata lanciata, quella di fissare il giorno della memoria in concomitanza con l’anniversario dell’uccisione di Pio La Torre, un’idea per spaccare il fronte dell’antimafia. “ Io conosco la famiglia La Torre, poco fa se ne è andata anche Giuseppina, la moglie di Pio, ma anche i familiari vogliono che ci sia un giorno che li ricordi tutti”. Don Ciotti spiega e non nasconde il profondo rammarico: “ Non può essere qualche politico a decidere quindici anni di percorso insieme, di cammino difficile fatto delle vostre storie, dei vostri racconti che ci ha consentito di coinvolgere migliaia di persone. Qualcuno vuole cancellare con un colpo di spugna la nostra storia”. Don Ciotti lancia la mobilitazione perché il 21 di marzo resti e diventi la giornata nazionale della memoria e dell’impegno.
Don Ciotti ribadisce la linea da seguire, richiama l’etica della responsabilità, ricorda la scelta di Milano. “ Siamo venuti a Milano per Giorgio Ambrosoli, da questa terra è partito il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ma questa città piange i morti di via Palestro, Carlo, Stefano, Sergio, Alessandro, vigili del fuoco e Mussavi, un marocchino che dormiva su una panchina, cercava futuro e ha trovato la morte. Poi ci sono sindacalisti, siamo venuti ad abbracciare questi amici, così come il magistrato Galli ucciso da prima linea”.
In prima fila c’è una donna, si chiama Ninetta, la sua storia racconta pezzi di Italia rimossi, ma un coraggio dirompente. “ Tutti gli anni cammina con noi la nostra Ninetta, la ricordiamo con quel cartello con la foto del suo Pierantonio( il figlio, ndr). Quest’anno può voltarla la foto perché un pentito, pochi mesi fa, ha deciso di parlare con un magistrato”. Si è scoperto che il figlio di Ninetta, Pierantonio era stato rapito perché aveva visto troppo, le cosche hanno deciso di ammazzarlo sapendo la sua rettitudine e l’amore per la legalità lo avrebbe condotto a denunciare. “ Il pentito ha detto ‘Pierantonio era un bravo ragazzo’ e ha confessato che lo ha ucciso la mafia”. La platea, a questo punto, si alza in piedi, lacrime vere senza telecamere.
“ Dopo 14 anni – racconta Don Ciotti – abbiamo finalmente fatto il funerale, e c’era tanta gente che è uscita di casa per stare vicina a Ninetta”. Ricordi, testimonianze continue, come la storia del piccolo Domenico, 11 anni, ucciso in un campetto di calcio a Crotone da un proiettile vagante in un conflitto a fuoco.
Vibra la sala e più forte fluttuano pensieri, ricordi, le storie incasellate di vittime innocenti, di nomi sconosciuti di chi ha perso un pezzo di vita, trucidato da mano mafiosa, dal fuoco del terrore rosso. I palazzi della politica, la meschinità dell’interesse di parte è lontano, troppo lontano da questo teatro. Dalla platea si alza una signora e avanza verso il palco, piange e parla a fatica, i presenti la salutano con un applauso. Non ha mai parlato, mai partecipato. Lei racconta: “ Lo scorso anno stavo ascoltando in tv la lettura dei nomi delle vittime e dissi a mio marito voglio sentire se pronunciano il nome di papà, in quel momento lessero Nicola Ruffo”. Nicola Ruffo era un macchinista, fu barbamente ucciso nel 1974 a Bari per aver difeso una tabaccaia durante una rapina. “ Ci sono dei nomi che non vengono ricordati, ci sono morti che cadono nell’oblio, nomi e storie che non dobbiamo dimenticare”. E aggiunge: “ Diceva mio padre ‘ intender non lo può chi non lo prova”.
Quando torna a sedere, al suo fianco la figlia le stringe le mani e le dice: “ Brava mamma”.
C’è un’altra Italia in queste facce, la pulizia dei visi, il coraggio dell’impegno. C’è chi vuole soffocare un pezzo di questa storia, altro fango su chi ha visto la mafia e ha avuto l’ardire di affrontarla. C’è chi di fronte a questa Italia più che inchinarsi preferisce la strada della divisione. L’odio del partito dell’amore.
“ Nessuno – conclude Don Ciotti – tocchi il 21 marzo”.