di Ambra Murè
In Italia, in Sicilia succede anche questo. Che il titolare di un negozio di abbigliamento di Gela, che finora ha menato vanto del proprio coraggio anti-racket, venga arrestato con l’accusa di essersi inventato tutto per intascare i soldi dell’assicurazione e i contributi concessi dallo Stato agli imprenditori che denunciano. Il commerciante sarebbe addirittura arrivato al punto di commissionare gli incendi appiccati al suo negozio e alla sua auto. Quattro attentati in tutto, quattro presunti avvertimenti che, appena un mese fa, avevano fatto di Nicola Fabrizio Interlici – questo il suo nome – una vittima, sconfitta, della prepotenza mafiosa. “Nessuno mi ha sostenuto. La mafia ha vinto. Vendo tutto e vado via”, aveva drammaticamente annunciato. Accusando, nemmeno troppo velatamente, l’associazione anti-racket di Gela, intitolata a Gaetano Giordano, di non aver saputo o voluto dargli una mano. “Mi sono complimentato con i carabinieri che hanno fatto emergere la verità”, dice ora il presidente dell’associazione Renzo Caponetti. Che invita a non fare di tutta l’erba un fascio: “Gli imprenditori hanno pienissima fiducia nelle associazioni anti-racket. Questa è semplicemente una mosca bianca che aveva gettato fango non solo sull’associazionismo di Gela ma anche su quello nazionale”. “Adesso dobbiamo continuare il percorso iniziato già da anni nella nostra città – conclude Caponetti - andare avanti con le denunce e non voltarsi mai dall’altra parte”.
Ascolta l'intervista a Renzo Caponetti, dell'associazione antiracket di Gela