di Pina Picierno
Un pantano da cui sembra impossibile uscire è quello che, giorno dopo giorno, sta emergendo dai verbali sui fatti di via Gradoli 96. Un intreccio quasi indecifrabile tra prostituzione, droga, delinquenza, una morte ancora non chiara, in cui spunta anche, e in maniera prepotente, l’ombra dei Casalesi. Una sorpresa? Non proprio, se si mettono in ordine le tessere di questo puzzle che sembra disegnare il profilo di una vera e propria casa degli orrori. E allora cerchiamo di raccontarla davvero questa storia fatta di poche verità, molte bugie, e stracolma di omissis. Partiamo dall’inizio: da quando cioè gli investigatori del Ros sono sulle tracce di Antonio Iovine, ò Ninno, uno dei capi indiscussi del clan dei Casalesi; un’informativa dei carabinieri di Caserta rende noto che il latitante avrebbe trovato rifugio nel basso Lazio, dove i Casalesi da anni gestiscono i loro numerosi affari, dal riciclaggio al traffico di droga. Basti pensare al caso di “Fondi”, assunto agli onori della cronaca nazionale per la vergognosa decisione del Governo di non procedere allo scioglimento per infiltrazione mafiosa. Ed è curioso notare che le due storie, quella di Marrazzo e degli affari criminali, si incrociano anche qui, a Fondi. Perché Marrazzo ad agosto fa nominare un nuovo direttore del mercato ortofrutticolo, un tecnico in grado di assicurare una gestione pulita, trasparente, sicura e soprattutto lontana dagli affari dei clan.
Ed è proprio seguendo gli affari dei Casalesi, e in particolare una pista di narcotraffico, che gli investigatori intercettano uno dei carabinieri poi arrestati e ascoltano la frase: “Dobbiamo vendere il video del Presidente”, da quel momento l’indagine devia. Ma è importante notare che originario del basso Lazio e precisamente di Sperlonga, è Gianguarino Cafassi, detto Rino, il pusher dei trans e confidente dei carabinieri della compagnia Trionfale, poi trovato morto in un albergo della Salaria per “arresto cardiaco”, figura che sempre più va assumendo un ruolo centrale grazie alle dichiarazioni rese ai pm da Natalì, uno dei transessuali coinvolti nell’affair Marrazzo. Il transessuale dichiara che a portare la cocaina nell’appartamento di via Gradoli fu Cafasso prima che i carabinieri facessero irruzione e ricorda che rimase sulla soglia dell’appartamento mentre i carabinieri giravano il video. Su questo punto le versioni si moltiplicano, fino a offrire un quadro confuso e molto contraddittorio, che al momento impedisce di avere certezza su chi davvero ha girato il video. E’invece emerso, con chiarezza che “Rino”aveva avuto un ruolo centrale nella prima parte della trattativa per vendere il video: il suo avvocato Marco Cinquegrana si attiva per organizzare l’incontro con Libero, dopo il quale, però la trattativa viene condotta direttamente dai carabinieri. Perché? E perché lo stesso Cafasso confessa alle croniste di Libero, Fabiana Ferri e Brunella Bolloi, di essere in pericolo e di essere pronto, con tanto di “documenti”, per la fuga. Perché teme per la sua vita? Chi voleva farlo tacere? Il decesso di quest’uomo che sembra essere molto più di un semplice “pusher”sarà oggetto di indagini. Ci sarà molto da approfondire, partendo dalle domande che da qualche tempo ci frullano prepotentemente nella testa: a chi appartengono gli appartamenti affittati ai trans? Chi era veramente Cafasso? Esistevano rapporti di contiguità, di affari, tra lui e i Casalesi?