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Articolo 21 - Libri
Mafia e Stato: Paolo Bellini, lâ??amico di Antonino Gioè ( di Stefania Limiti)
Mafia e Stato: Paolo Bellini, lâ??amico di Antonino Gioè ( di Stefania Limiti)

In un libro-inchiesta la storia del killer che trattò con la mafia per conto dello Stato (e che oggi potrebbe raccontare molte cose)

Cronache infuocate di questi giorni raccontano di una trattativa tra la mafia e lo stato, condotta sulla base delle richieste avanzate da Totò Riina e contenute nel famoso ‘papello’. Siamo tra il 1992 ed il 1993, un periodo insanguinato. L’offensiva di Cosa Nostra è a livelli altissimi di violenza brutale e lo Stato è sotto scacco. Tanto che intavola un’oscura trattativa con la criminalità che ancora oggi è al centro degli interessi degli investigatori: il mediatore era Vito Ciancimino il cui figlio, Massimo, oggi dice di avere quella lista di condizioni.
Nei prossimi giorni sarà interrogato un test importante, un pentito di nome Francesco De Carlo, uno che nei primi anni 90 è stato rinchiuso in un carcere londinese dove ricevette la visita di uomini di non meglio precisati ‘servizi segreti’ che volevano da lui consigli su come ammazzare Falcone e Borsellino. De Carlo disse di aver passato quei contatti a suo cugino, Antonino Gioè, un uomo d'onore di Cosa Nostra. Non uno qualsiasi ma l’allievo prediletto di Leoluca Bagarella, legatissimo a Toto' Riina. Gli agenti di custodia di Rebibbia trovarono Gioè impiccato nella sua cella il 29 luglio 1993: fu suicidio. Con quel gesto il boss si è chiuso la bocca per sempre. Grande chiacchierone, aveva parlato molto, e temeva rappresaglie per i suoi familiari: prove pesantissime lo inchiodavano all'assassinio di Giovanni Falcone, era nel commando di Capaci.
Gioè aveva un confidente che ancora oggi potrebbe raccontare tanto, si chiama Paolo Bellini ed è un uomo sfuggito alla grande cronaca ma non all’attenzione di Giovanni Vignali, un ottimo giornalista di Reggio Emilia, cronista curioso e attento, che si è messo sui suoi passi, ha letto carte e documenti, ha parlato con i protagonisti di fatti che hanno coinvolto Bellini ed ha scritto La Primula Nera, un libro-inchiesta che ancora una volta conferma la voglia e della capacità dei giornalisti di indagare (e il disinteresse dei giornali a pubblicare).
Torniamo a quel terribile inizio degli anni 90: c’era in corso in quei giorni una trattativa ‘minore’, messa proprio in piedi da Paolo Bellini. La sua missione è recuperare opere d’arte di altissimo pregio, in cambio di favori ai boss. Il mandante è lo Stato, la sua controparte un amico, conosciuto in cella, nel carcere di Sciacca, cioè proprio Antonino Gioe' che lascia scritto sul suo bigliettino-testamento che per lui Bellini <<forse è un infiltrato>>.
Perché, la cosa incredibile, è che neanche i boss mafiosi, quelli che hanno stretto al collo lo Stato, hanno potuto dire una parola definitiva su Paolo Bellini che è stato killer fascista, esponente di Avanguardia Nazionale, sedicente agente del Mossad, un uomo in grado di avere contatti con servizi segreti, polizia e carabinieri, delinquente comune, trafficante d’arte, mediatore tra Stato e mafia. Quest’uomo è potuto essere tutto questo perché era protetto, anzi molto protetto. Il boss Gioè, che gli aveva consegnato tante sue confidenze, non può fare a meno di rivolgere a lui il suo pensiero anche mentre sta per lasciare questo mondo: e si chiede è un uomo dei servizi, o uno al servizio di chi? L’interrogativo non trovò risposta ed apre il fronte di una zona oscura e parallela nella quale un’agente non in divisa diventa protagonista di affari pubblici: la sua clandestinità è garanzia di copertura, di tutela. Tanto da aprire un dubbio enorme su un possibile suo ruolo come ispiratore dello spostamento nei musei e nelle chiese dell’offensiva di Cosa Nostra per costringere le istituzioni a trattare con i boss. Quello che sembra certo è che fu abbandonato dal suo referente, il maresciallo Roberto Tempesta: l’allora capo del Ros, Mario Mori, preferì puntare su un uomo di tutt’altro genere, appunto Vito Ciancimino.
Il dossier degli anni delle stragi mafiose, della trattativa stato-mafia, del papello che la mafia consegnò con le richieste da soddisfare è ancora aperto ma sono sempre di più i fili che potranno condurre ad aprire i nostri armadi della vergogna. E non potrà mancare quello che conduce a Paolo Bellini, la primula nera la cui vita rocambolesca non lo rende certo un personaggio da romanzo. Il fatto è che le sue identità, i suoi viaggi da un continente all’altro (naturalmente non può evitare il giro di Brasile e Paraguay durante gli oscuri anni dell’operazione Condor organizzata dai servizi Usa per eliminare i dissidenti ai regimi dittatoriali sudamericani), in definitiva la sua impunità, sono un emblema di un paese nel quale gli intrecci tra versione nera, servizi segreti, magistrati e politica hanno creato una rete di protezione per chi si è messo a disposizione dei progetti criminogeni. Ad esempio: Bellini è l’assassino reo confesso di Alceste Campanile, un giovane innocente e pieno di ideali, militante di Lotta Continua, ammazzato a Reggio Emilia in una notte di giugno del 1975. Ricorda Vignali: <<è stato giustiziato, fatto inginocchiare, la testa leggermente reclinata in avanti, un primo colpo di pistola è entrato nella nuca e fuoriuscito dall’occhio destro. Una seconda pistolettata lo ha centrato al torace, dalla parte del cuore>>. Bellini ammette la sua responsabilità il 4 giugno 1999 e le testimonianze parlano chiaro: fu un omicidio premeditato oltre che politico ma il pentimento gli consente di usufruire delle attenuanti e di far cadere l’aggravante della premetidazione del delitto.Risultato, dopo trent’anni dal delitto la prescrizione è definitivamente maturata il 12 giugno 2005 e Bellini non paga in nessun modo il suo crimine. Un personaggio così è completamente sfuggito all’attenzione della stampa, un ‘particolare’ che rende prezioso il lavoro di Giovanni Vignali.

La primula nera
di Giovanni Vignali
Alberti Editore
Pagg. 267, euro 17,oo

 

 

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