di Atlantide
Una Rai troppo estroflessa, i cui vertici sono nominati dal di fuori e rispondono allâ??esterno, pronti a discutere macro-problemi e non i micro-problemi la cui somma fa la differenza. Ecco come si presenta oggi la tv di servizio pubblico, con lâ??aggravante di un contesto politico e legislativo che mina le basi del pluralismo, della trasparenza e dellâ??efficienza.
I â??predoni-padroniâ? della Rai arrivano, decidono di cose che sovente non hanno mai visto da vicino e a cui talvolta non sono minimamente interessati, spesso si trastullano in giochi di potere, intascano lauti compensi e poi ne vanno.
Chi rimane sono sempre loro, i salariati di un servizio sempre meno pubblico, quelli che portano sulla loro pelle, per tutta la durata della loro vita lavorativa, il marchio â??mamma-Raiâ?, ormai, nellâ??immaginario collettivo, sinonimo di latrocinio e lottizzazione.
Sarebbe giusto allora applicare lo slogan americano â??no taxation without representationâ? (â??niente tasse senza rappresentanzaâ?) prevedendo che a chi paga il danno dâ??immagine, oltre che di sostanza, di lavorare in Rai sia concesso un diritto di rappresentanza e di decisione allâ??interno dellâ??azienda. Il declino della televisione in generale e del servizio pubblico in particolare non può garantire a lungo lâ??ormai consueto uso (e abuso) dellâ??azienda. Ã? necessario lâ??intervento di personalità e professionalità tali da restituire alla Rai il ruolo e il peso che le spettano.
La vita di unâ??azienda è fatta di persone, di relazioni interne ed esterne, di intelligenze, esperienze, culture. Questo è produrre e offrire un servizio, questo è fare televisione. Tutto il resto è sovrastruttura: conti da far tornare, patrimonio da gestire, tempi da rispettare.
Perché la Rai produce sempre meno? Per quale motivo si acquista fuori a caro prezzo ciò che fino a poco fa si faceva bene e vantaggiosamente dentro? Perché si ricorre ai precari, quando lâ??azienda ha esuberi di dipendenti? Perché si strapagano giornalisti esterni, quando gli interni non vengono messi nelle giuste occasioni di esprimersi e confrontarsi? Forse il motivo è lo stesso per cui chi comanda in Rai è un immobiliarista e chi gli sta attorno difficilmente si è mai recato su un set o sa che significhi produrre un programma.
La stessa logica che fa sì che i dirigenti siano strapagati e tutti gli altri siano sottopagati. Disservizi? No! Iingiustizie, opportunismo, menefreghismo e anche una buona dose di cinismo: dal conflitto dâ??interessi del premier in giù, fino ai manager salpati da Mediaset o Arcore, allâ??arrembaggio della Rai â?¦
Ma allâ??horror preferiamo il genere fantastico, dunque nella fantapolitica aziendale vorremmo vedere la Rai, come azienda di servizio pubblico, restituita alla sua vera missione e riconsegnata ai suoi dipendenti, a coloro che giorno per giorno la fanno e la vivono.
In questa Rai ideale il Consiglio di Amministrazione sarebbe composto da almeno un paio di rappresentanti dei dipendenti.
Lâ??immagine non è poi così inedita: in Francia, infatti, il CDA della televisione pubblica è costituito da 12 membri: 2 parlamentari nominati dalla Camera e dal Senato, 4 rappresentanti dello Stato , 4 esperti nominati dal Conseil Supérieur de lâ??Audiovisuel (CSA) e 2 rappresentanti scelti dal personale.
Se nella nostra televisione pubblica, il Presidente (o, quanto meno, un paio di Consiglieri) fosse eletto dai dipendenti a suffragio universale fra una rosa di candidati interni o esterni allâ??azienda, si avrebbe sicuramente un Consiglio più equilibrato e più incline a considerare le problematiche interne.
I dipendenti, sempre più demotivati e sfiduciati, ormai costituiscono una base frantumata, che neppure i sindacati riescono spesso a rappresentare e interpretare concretamente. Se i lavoratori avessero la possibilità di influire, anche solo minimamente, nelle decisioni sostanziali dellâ??azienda, si avrebbe sicuramente un arricchimento culturale e una dialettica più bilanciata degli interessi in gioco.
Anzi, si potrebbe andare oltre, ipotizzando un intervento del top-management nella scelta del Direttore Generale. Il meccanismo potrebbe configurarsi così: si rende vacante il posto di DG e si apre una procedura per la selezione del nuovo direttore. Entro un termine prefissato i candidati si iscrivono al â??concorsoâ?, fornendo la documentazione di tutti i titoli posseduti. Gli aventi diritto dovrebbero avere esperienze almeno decennali nel settore delle telecomunicazioni e dellâ??audiovisivo in Italia o allâ??estero. I â??curriculaâ? dovrebbero essere vagliati da una commissione composta dal top-management aziendale, per cui la designazione finale poi spetti comunque al ministro del Tesoro.
Quanto agli altri membri del CDA sarebbe interessante prendere spunto dallâ??esperienza tedesca, dove il governo del servizio televisivo è nelle mani dei Consigli televisivi, organismi formati dai vari gruppi di interesse della società : settore produttivo, scuola e università , donne, religioni, arti, giovani.
Unâ??utopia? Un film di fantascienza? No, solo unâ??azienda un poâ?? più pluralista e umana.