di Luca De Zolt*
La scuola italiana è al centro di polemiche ogni giorno: crocefissi, ore di islam, grembiulini e bullismo tengono banco su telegiornali e prime pagine. Sembra quasi che il mondo giovanile e studentesco sia una gigantesca giostra dalla quale estrarre ogni tanto qualche boccia colorata carica di audience e buona per far partire tanti bei dibattiti nel primo pomeriggio delle televisioni nazionali. Sotto i commenti dello psicologo di turno e gli slogans ministeriali, si nasconde invece un’istruzione pubblica allo sfascio completo, senza risorse, che non da prospettive per gli studenti di oggi. Di cui nessuno parla.
Il ministro dell’istruzione Gelmini ha agito in questo anno proponendosi come paladina del merito e della qualità: alle dichiarazioni di principio sono seguiti fiumi di atti, circolari, decreti e regolamenti, ricchi di contraddizioni, errori e incongruenze, il cui unico segno è quello di aver tradotto in realtà il mastodontico taglio di risorse a cui Tremonti ha sottoposto la scuola, l’università e la ricerca.
Una cura dimagrante imposta a un malato già privo di forze e da anni abbandonato a se stesso non poteva che produrre un celere deperimento del nostro sistema di istruzione e formazione. Ce lo dicono le scuole che non riescono più a svolgere le attività minime, ce lo dicono gli studenti costretti a pagare di tasca propria i corsi di recupero, ce lo dicono i docenti troppo anziani e i laboratori chiusi negli istituti professionali.
Ma qual è il senso dell’azione del governo? Ripristinare la scuola di classe? Riesumare la mai sepolta riforma Moratti? Imporre un modello aziendalista alle scuole e alle università?
Sul web (molto meno sui giornali) le letture sui perché e sui percome scorrono a fiume, più o meno veritiere e più meno ideologizzate.
A noi sembra che l’intenzione del governo sia piuttosto semplice, anche alquanto arida. Tagliare indiscriminatamente risorse, lasciare che le scuole cadano letteralmente a pezzi, far fuori la scuole elementare [unica eccellenza senza sprechi di un sistema nel complesso sprecone e dai bassi risultati], licenziare i docenti e non spendere un euro per la loro formazione, svendere le università pubbliche, non significa creare un modello di istruzione diverso o alternativo da quello esistente o da quello propugnato (quale?!?!) dalla fantomatica “sinistra”.
Significa semplicemente scegliere, approfittando della crisi, di liquidare qualsiasi impegno del pubblico nella formazione dei cittadini, privandoli non solo della scuola e dell’università e della ricerca, ma anche di quel sistema di formazione permanente che l’Europa individua come uno dei pezzi fondamentali per il welfare di un Paese, e che in Italia non è mai nato.
Già adesso la scuola e l’università non consentono ai giovani di muoversi nella scala sociale, di veder considerate nel mondo del lavoro le proprie competenze e conoscenze, di poter affrancarsi dalla propria condizioni di partenza attraverso lo studio: sogno questo, appartenuto ai nostri genitori e ai nostri nonni.
Per la nostra generazione ai diritti e alle garanzie costituzionali, si sostituiscono i privilegi, le raccomandazioni, i meccanismi mafiosi, la precarietà è un presupposto per rendere tutti ricattabili e potenzialmente prostituibili.
Se si pensa a un mondo così e lo si pensa come giusto, ecco allora che è normale che la scuola e l’università non possano che sembrare semplicemente dei costi inutili, da tagliare.
Noi questo mondo non solo lo consideriamo poco giusto, ma non lo vogliamo proprio veder realizzare sulla nostra pelle.
Ecco perché la Rete degli studenti medi continuerà in questo mese un programma di mobilitazione intensissimo nelle scuole e nelle piazze, incentrato sul diritto allo studio come diritto fondamentale per la costruzione del nostro futuro.
Il 6 novembre saremo in piazza insieme all’Udu per chiedere indietro l’università pubblica e il ritiro del ddl sull’università. Il 14 novembre parteciperemo alla manifestazione nazionale della CGIL sulla crisi, per chiedere un nuovo modello di mercato del lavoro, contro la precarietà e i licenziamenti. Il 17 novembre manifesteremo in tutta Italia con cortei e iniziative culturali per la giornata mondiale di mobilitazione studentesca per il diritto allo studio.
Ma il nostro lavoro maggiore sarà concentrato nelle scuole, per raccogliere la rabbia e la delusione degli studenti ormai stremati dal teatrino ministeriale e mediatico, per ridare speranza ma soprattutto per dare voce alla rabbia e alla voglia di cambiamento che cova sotto la vetrina delle notizie di colore che oscurano il vero stato della scuola italiana e degli studenti.
*portavoce della Rete degli studenti