Articolo 21 - Editoriali
Uno strumento utile ma invasivo che si presta ad abusi
di Roberto Martinelli
da Il Messaggero
IL DISEGNO di legge approvato dal governo con l'intenzione di dettare nuove regole a magistrati e giornalisti in tema di intercettazioni telefoniche va ad aggiungersi ai nove che da tempo sono in lista di attesa alla Camera dei deputati. Le nuove norme sulle quali il Parlamento dovrà pronunciarsi mirano a limitare gli abusi che nel recente passato sono stati commessi nell'usare lo strumento di indagine più invasivo della vita privata e della libertà del cittadino. Ma neppure stavolta il legislatore si è posto il seguente problema: l'ascolto (non solo telefonico) di conversazioni private non può essere considerato un mezzo di prova nel senso letterale del termine ma solo un qualcosa che può aiutare la pubblica accusa nella ricerca della verità .
E' accaduto invece, e accadrà ancora, se il legislatore non interverrà in maniera più incisiva, che interi brani di intercettazioni ambientali e/o telefoniche siano state catapultate, senza alcuna verifica sui loro contenuti reali, nelle motivazioni delle misure cautelari chieste dai pubblici ministeri e riprese pedissequamente, via computer, dai giudici delle indagini preliminari. L'avvento dei modem, dei cd e dei floppy disk nella realtà giudiziaria di questo paese ha dato vita al fenomeno della moltiplicazione dei â??fileâ? tra un ufficio e l'altro e questo ha provocato l'inevitabile fuga di notizie che l'accusa vede sempre di buon occhio quando essa ha la finalità di accreditare presso l'opinione pubblica i suoi teoremi.
Non v'è dubbio che nella lotta al terrorismo e al crimine organizzato questo mezzo di ricerca della prova abbia portato a risultati eccellenti nella caccia ai colpevoli. Ma è accaduto anche che molti innocenti siano stati coinvolti ingiustamente in procedimenti penali a causa di trascrizioni sbagliate, di errori commessi dagli addetti alla verbalizzazione. Di tutto questo non c'è alcun accenno nei quindici articoli del disegno di legge approvato ieri. Il governo ha fatto tutt'altra scelta sull'onda della vicenda che ha coinvolto il vertice della Banca d'Italia e si è preoccupato di tutelare le persone non indagate che finiscono nella ragnatela delle intercettazioni per il solo fatto di entrare in contatto con chi invece è oggetto di una inchiesta giudiziaria. Ed ha previsto sanzioni di tipo diverso per i magistrati che violano il segreto investigativo, per i giornalisti che ospitano le loro esternazioni e per gli editori che non impediscono la divulgazione di atti o di notizie riservati.
Quanto ai magistrati, nessun pubblico ministero sarà così ingenuo da farsi cogliere con le mani nel sacco. Se invece la norma potrà applicarsi al cerimoniale delle conferenze stampa dei Procuratori della Repubblica il discorso è diverso e sarà tutto da vedere. Quanto ai giornalisti, se le intercettazioni continueranno ad essere trascritte integralmente, come accade ora, nei provvedimenti cautelari a disposizione di tutte le parti processuali, non sarà facile vietarne la pubblicazione fino alla fine delle indagini preliminari. Quanto agli editori la norma punitiva appare di difficile applicazione pratica ed ha un sapore fortemente limitativo di quel diritto all'informazione che, nel rispetto della privacy e dell'onorabilità dei terzi, il cittadino ha diritto di rivendicare al fine di esercitare il controllo di legalità su tutte le istituzioni del suo paese.
Ed allora non resta che auspicare che nella sua sovranità il Parlamento rilegga attentamente queste norme, tenga conto di quanto in realtà è accaduto nella vicenda Banca d'Italia e non solo, e affronti una volta per tutte il vero nodo centrale del problema che non è certo quello di prendersela con giornalisti ed editori. E rifletta sul numero eccessivo delle intercettazioni telefoniche, e si ponga il problema se un tale mezzo di ricerca della prova non debba essere affidato ad un organo collegiale che dia maggiori garanzie di terzietà . E soprattutto faccia in modo che il codice sia rispettato laddove stabilisce che le intercettazioni debbono essere compiute negli impianti installati nelle Procure e, solo eccezionalmente, presso impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria. E si chieda se questa eccezione, diventata regola, non sia la prima causa del gigantismo di un fenomeno che non fa onore ad un moderno Stato di diritto.
E' accaduto invece, e accadrà ancora, se il legislatore non interverrà in maniera più incisiva, che interi brani di intercettazioni ambientali e/o telefoniche siano state catapultate, senza alcuna verifica sui loro contenuti reali, nelle motivazioni delle misure cautelari chieste dai pubblici ministeri e riprese pedissequamente, via computer, dai giudici delle indagini preliminari. L'avvento dei modem, dei cd e dei floppy disk nella realtà giudiziaria di questo paese ha dato vita al fenomeno della moltiplicazione dei â??fileâ? tra un ufficio e l'altro e questo ha provocato l'inevitabile fuga di notizie che l'accusa vede sempre di buon occhio quando essa ha la finalità di accreditare presso l'opinione pubblica i suoi teoremi.
Non v'è dubbio che nella lotta al terrorismo e al crimine organizzato questo mezzo di ricerca della prova abbia portato a risultati eccellenti nella caccia ai colpevoli. Ma è accaduto anche che molti innocenti siano stati coinvolti ingiustamente in procedimenti penali a causa di trascrizioni sbagliate, di errori commessi dagli addetti alla verbalizzazione. Di tutto questo non c'è alcun accenno nei quindici articoli del disegno di legge approvato ieri. Il governo ha fatto tutt'altra scelta sull'onda della vicenda che ha coinvolto il vertice della Banca d'Italia e si è preoccupato di tutelare le persone non indagate che finiscono nella ragnatela delle intercettazioni per il solo fatto di entrare in contatto con chi invece è oggetto di una inchiesta giudiziaria. Ed ha previsto sanzioni di tipo diverso per i magistrati che violano il segreto investigativo, per i giornalisti che ospitano le loro esternazioni e per gli editori che non impediscono la divulgazione di atti o di notizie riservati.
Quanto ai magistrati, nessun pubblico ministero sarà così ingenuo da farsi cogliere con le mani nel sacco. Se invece la norma potrà applicarsi al cerimoniale delle conferenze stampa dei Procuratori della Repubblica il discorso è diverso e sarà tutto da vedere. Quanto ai giornalisti, se le intercettazioni continueranno ad essere trascritte integralmente, come accade ora, nei provvedimenti cautelari a disposizione di tutte le parti processuali, non sarà facile vietarne la pubblicazione fino alla fine delle indagini preliminari. Quanto agli editori la norma punitiva appare di difficile applicazione pratica ed ha un sapore fortemente limitativo di quel diritto all'informazione che, nel rispetto della privacy e dell'onorabilità dei terzi, il cittadino ha diritto di rivendicare al fine di esercitare il controllo di legalità su tutte le istituzioni del suo paese.
Ed allora non resta che auspicare che nella sua sovranità il Parlamento rilegga attentamente queste norme, tenga conto di quanto in realtà è accaduto nella vicenda Banca d'Italia e non solo, e affronti una volta per tutte il vero nodo centrale del problema che non è certo quello di prendersela con giornalisti ed editori. E rifletta sul numero eccessivo delle intercettazioni telefoniche, e si ponga il problema se un tale mezzo di ricerca della prova non debba essere affidato ad un organo collegiale che dia maggiori garanzie di terzietà . E soprattutto faccia in modo che il codice sia rispettato laddove stabilisce che le intercettazioni debbono essere compiute negli impianti installati nelle Procure e, solo eccezionalmente, presso impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria. E si chieda se questa eccezione, diventata regola, non sia la prima causa del gigantismo di un fenomeno che non fa onore ad un moderno Stato di diritto.
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