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Articolo 21 - Editoriali
Professione addio? (lettera aperta agli Stati Generali dellâ??Informazione)
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di Fernando Cancedda

Da mesi i giornalisti italiani sono obbligati ad un confronto decisivo con gli editori. Sappiamo â?? i più avvertiti fra noi â?? che in gioco non è soltanto il contratto di lavoro ma il giornalismo come professione autonoma e, indirettamente, il diritto dei cittadini ad unâ??informazione completa, corretta e dignitosa.
Non è solo un problema italiano, anche se nel nostro paese esso si pone, per motivi richiamati anche di recente in sede internazionale, con particolare gravità: le trasformazioni, di natura economica e tecnologica, avvenute in questi anni nel mondo editoriale, modificando ragione e obbiettivi degli investimenti in tutto il settore dei media, non consentono più di sfuggire al dilemma della compatibilità tra un mercato governato dalla logica del profitto  e unâ??informazione completa, corretta e dignitosa. Scompare questâ??ultima e inevitabilmente declina la  credibilità del giornalismo, insieme alla sua identità. Tutto questo è bene dirlo subito, con chiarezza, per non lasciare più nessuno nellâ??illusione che il nodo possa essere sciolto con le forze, sempre più deboli, della nostra categoria.
  
Che si tratti di un problema reale è ampiamente confermato dalle più recenti analisi, condotte soprattutto negli Stati Uniti. Ne abbiamo letto una sintesi lâ??estate scorsa in un ben documentato libretto di Fabrizio Tonello ( â??Il giornalismo americanoâ?, ed.Carocci).
Il professor Saul Landau, direttore dei programmi sui media digitali allâ??Università di Pomona, in California,  ha scritto testualmente che â??in America i media più importanti si sono venuti trasformando in uno strumento attraverso il quale la cultura commerciale dominante â?? banale allâ??ennesima potenza â?? ripropone se stessaâ?. Menzogne e verità sono vendute indifferentemente ai cittadini al solo scopo di orientarli politicamente ma soprattutto indirizzarli allo shopping.
â??Si guardi la TV, si ascolti la radio, si leggano i principali quotidiani e si potrà facilmente concludere â?? scrive Landau â?? che Viacom, Disney, Sony, Time Warner e i pochi altri giganteschi media transnazionali non hanno alcun interesse a un mondo di cittadini. Essi puntano a un mondo di consumatori che sarebbe ideale non avessero alcun interesse per la politicaâ?.

Se questa severa analisi vale almeno tendenzialmente anche per i grandi media italiani,  ecco che  non dobbiamo fronteggiare una normale dialettica sindacale, ma un vero conflitto di interessi che, non risolto, sta avviando la definitiva crisi del giornalismo come professione autonoma.


Qualcuno può risolverlo? Non gli investitori pubblicitari, è ovvio, né gli azionisti dei media loro alleati, ma neppure i giornalisti da soli, che â?? a cominciare dai direttori â?? sono oggi comunque dei dipendenti, per il posto di lavoro e per la carriera. Chi, nel pur doveroso rispetto di se stesso e del lettore,  vuol mantenere la â??schiena drittaâ?, rischia lâ??emarginazione o il rimpiazzo, tanto più probabili in presenza di larghe fasce di precariato e di crescente disinteresse imprenditoriale per la qualità dellâ??informazione.
Questo è il panorama italiano, dove si comprano sempre meno giornali e i telegiornali hanno la parte del leone. Dove sta diventando difficile distinguere i giornalisti dagli operatori pubblicitari, dai propagandisti politici, talvolta anche dai predicatori o dalle soubrettes. Anche da noi le grandi reti televisive, alla continua ricerca di audience e di pubblicità commerciale, sono macchine livellatrici che mal sopportano il buon giornalismo â?? inevitabilmente originale, controverso e costoso â?? e prediligono notizie in pillole non contestualizzate,  pettegolezzi,  soft news, lâ??esatto contrario insomma di quanto prevedono  dichiarazioni di principi e  carte deontologiche tuttora, senza pudore e senza senso del ridicolo, solennemente proclamate. Lâ??interesse reale di chi controlla lâ??informazione è per un mondo di consumatori, non per un mondo di cittadini. 

Chi può risolvere allora questo conflitto? A mio avviso, una strategia di lotta efficace deve partire da unâ??analisi severa e realistica delle forze in campo, degli interessi che mortificano il nostro ruolo e del grado di determinazione necessario per difenderci. La sopravvivenza del giornalismo può essere affidata soltanto a coloro che credono in un mondo di cittadini e non di soli consumatori. Per questa sopravvivenza dobbiamo essere capaci di mobilitare noi stessi e le nostre organizzazioni in primo luogo ma insieme anche i cittadini e chi ha il compito di rappresentarli nella politica, nelle istituzioni, nella società civile. Potremo farlo solo con un doppio recupero di credibilità: del sindacato e dellâ??Ordine presso  tutti i colleghi, dei giornalisti presso lâ??opinione pubblica. Proprio perché è indispensabile una doppia solidarietà: dei giornalisti tra loro e dei giornalisti con i cittadini e le forze  democratiche.

Il compito è tuttâ??altro che facile, ma non ha alternative. I giornalisti devono sperimentare nei fatti che alla lunga una resistenza solidale è lâ??unica arma vincente e che la solidarietà tra colleghi paga più dellâ?? arte di arrangiarsi individualmente.
Per il Sindacato si tratta allora di non cedere altro terreno nella formulazione dei contratti di lavoro ma soprattutto nellâ??applicazione pratica dei medesimi, assicurando presenza e vigilanza nelle singole testate e attivando i comitati di redazione perché sappiano intervenire con la necessaria energia in difesa dei colleghi ogni volta che è necessario.   Questo è il ruolo primario del Sindacato e va ordinariamente esercitato nei luoghi di lavoro - non soltanto nelle emergenze, non soltanto ai pur preziosi sportelli di una sede regionale.


Per lâ??Ordine si tratta di promuovere lâ??autocoscienza professionale, riqualificando lâ??accesso alla professione e invitando tutti al rispetto dei suoi valori e delle sue regole, imponendo â?? quando occorre col rigore disciplinare - la buona fede nei confronti  del pubblico. Non basta. In una trattativa sindacale come questa, decisiva per le sorti della professione, il Consiglio nazionale e i Consigli regionali dellâ??Ordine non dovrebbero limitarsi a qualche ordine del giorno, ma scendere direttamente in campo per sottolineare con appelli pubblici, convegni, interventi presso le istituzioni il valore straordinario di questa vertenza per lâ??avvenire democratico del Paese. 
Mettiamo finalmente davanti alle loro responsabilità i grandi direttori, le grandi firme. Uno di loro, Roberto Morrione, ha denunciato recentemente lâ??insufficienza e la povertà â??di una catena di responsabilita' e di organizzazione giornalistica che perde troppo facilmente la spinta all'autonomia e alla professionalità, sostituendola con la subordinazione o l'allineamento ai poteri dominantiâ? (editoriale su â??Articolo21â?).  Chiediamo ai direttori se intendono restare giornalisti, accettare i doveri impliciti nellâ??appartenenza alle nostre organizzazioni, o se dobbiamo una buona volta arrenderci e considerarli una controparte in questo conflitto, se lâ??articolo 6 del contratto collettivo è al servizio della professione o uno strumento per accelerarne la fine. 

Da soli, è chiaro, non potremo mai farcela. Considerando realisticamente lâ??attuale equilibrio delle forze, una trattativa sindacale, per quanto ben condotta, potrà tamponare qualche falla, niente di più. Una mobilitazione a livello politico, istituzionale è indispensabile se vogliamo contrastare sul serio una tendenza del mercato dei media che procede da anni senza ostacoli e molti ritengono inarrestabile. La campagna elettorale politica del 2006 dovrà vedere una mobilitazione senza precedenti per chiedere al nuovo governo riforme strutturali e misure di regolazione del mercato sufficienti a garantire libertà, qualità, autonomia, correttezza della comunicazione nel nostro Paese. Pare che in Spagna abbiano già cominciato. E oggi ci sono forse le condizioni per rinnovare con maggiori probabilità di successo quella ricerca di alleanze e quelle  forme di pressione che fino a ieri non sono bastate.

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