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Articolo 21 - Editoriali
Nemer Hammad: " Vi racconto la mia Italia"
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di Umberto De Giovannangeli*

 

«DA ENRICO BERLINGUER ho imparato una lezione fondamentale: lavorare con tenacia per costruire il consenso più ampio attorno alle ragioni di una pace giusta in Medio Oriente; una pace fondata sul principio di due Stati. La â??mia Italiaâ?, che dopo 27 anni sto per lasciare è stata un laboratorio per il dialogo israelo-palestinese. Di ciò sono fiero»

«Se câ??è una cosa di cui mi sento orgoglioso è di aver contribuito a riavvicinare, attorno alla solidarietà al popolo palestinese e alla ricerca di una pace giusta, fondata sul principio di due Stati, Enrico Berlinguer e Bettino Craxi». Un viaggio sul filo della memoria, di ricordi personali struggenti intrecciati ad eventi drammatici che hanno segnato la storia dâ??Italia dellâ??ultimo trentennio. Ed ora, a pochi giorni dal suo ritorno in Palestina, dove ricoprirà il delicato incarico di consigliere politico del presidente Abu Mazen, Nemer Hammad, rappresentante in Italia dellâ??Autorità nazionale palestinese, ripercorre in questa intervista a lâ??Unità i ventisette anni della sua presenza nel nostro Paese. «Lâ??Italia della Prima Repubblica, con i suoi leader politici di spessore internazionale, aveva unâ??autorità nel mondo arabo e in Medio Oriente di cui oggi si fatica a ritrovare traccia. Altro che filo-palestinesi: politici come Berlinguer, Craxi, Andreotti fecero dellâ??Italia il laboratorio politico per la ricerca di una pace fondata sul riconoscimento reciproco fra Israele e Olp, anticipando Oslo e dimostrandosi molto più lungimiranti di certi amici dellâ??ultimora di Israele».
Ventisette anni in Italia. A rappresentare le ragioni di un popolo: quello palestinese. Quale bilancio, politico e personale, trae da questa lunghissima esperienza?
«Nella vita non si finisce mai di imparare ed io in questi 27 anni italiani ho imparato alcune lezioni che non scorderò mai. La prima è che quando in Occidente, in Europa si fa riferimento al conflitto israelo-palestinese, quando ci si rapporta a Israele è sempre presente la ferita rappresentata dallâ??Olocausto. Ã? un peso della memoria, e della coscienza collettiva, che non va mai sottavalutato...».
E la seconda lezione quale fu e chi è stato il «professore»?
«Enrico Berlinguer. Erano i giorni drammatici della rottura dellâ??Olp con la Siria. Grazie a Remo Salati e Antonio Rubbi, incontrai più volte Berlinguer. Ricordo la volta in cui mi fece latore di questo messaggio ad Arafat: dovete cercare di evitare lo scontro con i siriani. Già voi, mi disse, avete problemi con lâ??Egitto di Sadat, che cominciava la politica del disgelo con Israele, avete rotto con la Giordania, ed ora la frattura con Damasco. Per voi, come per noi, concluse, è molto difficile difendere un movimento che ha tutti attorno a sé contro. Dovete evitare tante battaglie inutili. Aprite canali di dialogo con lâ??Egitto, anche con la Giordania. Da Berlinguer imparai lâ??importanza di lavorare per una strategia delle alleanze e il coraggio della chiarezza nellâ??enunciare i propri intenti».
Questa lezione ha guidato la sua azione anche nei suoi rapporti italiani?
«Certamente. Nei miei primi anni in Italia ho dovuto fare i conti con l'equiparazione che veniva fatta tra palestinesi e feddayn, tra feddayn e terroristi. Non è stato facile costruire una immagine diversa, più rispondente alla verità storica, del mio popolo. Ma se câ??è una cosa di cui vado orgoglioso è di non aver ricercato facili consensi tra quanti scendevano in piazza in quegli anni inneggiando alla Palestina libera e rossa...Io ho cercato di aprire un dialogo con le forze democratiche principali in Italia - la Dc, il Pci, il Psi, ma anche con repubblicani e socialdemocratici . Non è stato facile; ma alla fine questa intenzione ha prodotto risultati importanti, per il mio popolo certamente ma anche per lâ??immagine dellâ??Italia nel mondo arabo e in Medio Oriente»
In questi 27 anni, lei ha avuto a che fare con tutti i maggiori leader della Prima e della Seconda Repubblica. Di quali conserva il ricordo più vivo ?
«Tanti nomi mi ritornano alla mente, Giancarlo Pajetta, Luigi Granelli, Lelio Basso, Emilio Colombo e per venire a tempi più recenti Piero Fassino, Massimo Dâ??Alema, Walter Veltroni..., ma quelli che mi hanno lasciato un ricordo indelebile sono Enrico Berlinguer, Bettino Craxi e Giulio Andreotti. Un altra cosa di cui vado fiero è di aver avuto con Berlinguer e Craxi un rapporto fecondo, unitario, anche negli anni delle forti polemiche a sinistra tra Pci e Psi. Ma sulla Palestina, sulla necessità di ricercare una pace giusta, fondata sul principio di due Stati, Berlinguer e Craxi non smisero mai di dialogare. Ricordo in proposito la prima visita di Arafat in Italia. Era il 1982. Il capo dello Stato era allora Sandro Pertini. Non fu semplice convincere Pertini a ricevere Arafat. Se ciò fu possibile è stato grazie allâ??impegno di Berlinguer e Craxi che coordinarono i loro sforzi. Così come ricordo che fu Emilio Colombo, nel 1976, a favorire il primo incontro ufficiale con lâ??Olp in Italia».
Quel periodo fu segnato da una stagione dei misteri in Italia che si sono incrociati anche con il conflitto mediorientale: lâ??appello di Arafat per la liberazione di Aldo Moro, Sigonella, il terrorismo dei dirottamenti aerei .... Lei visse in prima linea questa stagione. Con quali ricordi?
«In tempi non sospetti, prima di venire in Italia, presi posizione sulla rivista ufficiale di al- Fatah contro il terrorismo palestinese. Dirottare un aereo - scrissi - questa non è lotta di resistenza, queste azioni indeboliscono la causa palestinese, così non libereremo mai un centimetro della Palestina. Per questo, quando sono venuto in Italia, avevo già maturato una convinzione profonda ed avevo anche un mandato preciso da parte di Yasser Arafat, Faruk Kaddumi e anche di Abu Iyad, che pure fu considerato il leader di Settembre nero: mettere fine a tutto ciò che lede la causa palestinese. Il che significava anche rompere ogni rapporto con gruppi, in ogni parte del mondo, che per loro motivi agitavano la causa palestinese per giustificare la loro pratica terroristica. Sulla vicenda Moro il Presidente Cossiga, allora ministro degli Interni, in un discorso alla Camera, affermò che lâ??Olp non solo non entra in questa storia ma al contrario stanno collaborando con noi... In tutti questi anni sono stato sempre molto chiaro sulla questione del terrorismo, non solo qui in Italia ma anche con i nostri massimi dirigenti...».
Anche con Arafat?
«Anche con lui. Le racconto un episodio di cui è testimone lo stesso Abu Mazen: subito dopo lâ??inizio della seconda Intifada, quella dei kamikaze, dissi ad Arafat che se noi siamo davvero contrari a questo terrorismo stragista allora dobbiamo combattere il fenomeno; se non siamo in grado di fronteggiarlo, non possiamo impedire ad altri di combatterlo. Se non agiamo o impediamo ad altri di farlo, saremo identificati come i leader del terrorismo. Questa chiarezza non è importante solo per l'opinione pubblica italiana, lo è anche per quella palestinese. Da questo punto di vista, mi sento più tranquillizzato nel lavorare oggi con Abu Mazen; perché lui parla in una riunione ristretta lo stesso linguaggio utilizzato in un raduno di massa o in un vertice con Sharon. Non cambia le carte in tavola a secondo di chi ha di fronte. Ma il linguaggio della verità deve valere sempre , ovunque e per tutti. E se guardo allâ??Italia rilevo che da quando io sono venuto qui non câ??è stato alcun tipo di attacco terroristico da parte di al-Fatah. Azioni terroristiche sono state condotte da Abu Nidal, e noi lâ??abbiamo condannato, e da parte israeliana...».
Da parte israeliana?
«Ã? storia. In Italia non è stato ucciso nessun cittadino israeliano, mentre sono stati uccisi da agenti israeliani il mio vice, Kamal Hussein nel 1982, e altri due rappresentanti palestinesi. Per quanto riguarda poi Sigonella, non posso che fare mie le considerazioni che a quei tempi ebbi modo di ascoltare da parte di Giulio Andreotti, Bettino Craxi e da diversi dirigenti del Pci: essere alleati degli Stati Uniti non significa assecondare decisioni sbagliate che possono mettere a repentaglio la sicurezza dellâ??Italia e indebolirne la politica in unâ??area cruciale come quella mediorientale. Sigonella è parte di quella politica del dialogo col mondo arabo che non aveva nulla di anti-israeliano ma che puntava a elaborare una strategia di pace fondata sul mutuo riconoscimento fra Israele e Olp. I leader italiani cercarono di convincere gli americani ad aprire un dialogo con lâ??Olp. Per tanti anni gli americani hanno rifiutato questa indicazione, mentre in Italia i partiti democratici hanno tessuto relazioni e favorito incontri in Italia con ambedue le parti, anticipando così la svolta di Oslo. Favorire il dialogo e un accordo di pace fondato sul principio di due Stati e due popoli in Palestina: è la linea che ha caratterizzato la â??mia Italiaâ? in questi 27 anni, attraversando la Prima e la Seconda Repubblica. Unâ??Italia progressista, lungimirante, che sa che la strada del dialogo è lâ??unica percorribile per raggiungere una pace giusta, duratura in Medio Oriente. Una pace tra pari».

* da l'Unità
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