Articolo 21 - Editoriali
PER LA RAI, PER Lâ??UNIONE - Baudo salvezza dâ??Italia
di Massimo Gramellini
da La Stampa
Per gli estimatori di Pippo Baudo, che un uomo di spettacolo considerato rottamabile fino all'altro giorno sia riuscito in meno di una settimana a riprendersi lo scettro della domenica televisiva contro il favorito Bonolis e a ricevere da Prodi la candidatura a governatore della Sicilia è la prova evidente che la vita premia i coraggiosi e i democristiani, ma soprattutto che i due aggettivi riescono talvolta a convivere nella stessa persona. Ma per il sistema politico, e per la sinistra in particolare, l'indicazione di un Baudo si pone agli antipodi del coraggio. Eâ?? sudditanza pura, ennesimo capitolo di una deriva in apparenza inesorabile, che può definirsi Berlusconismo senza Berlusconi. Un vizio d'imitazione che induce gli oppositori del Cavaliere a demonizzare l'uso della televisione come arma impropria di ricerca del consenso, salvo poi ricorrervi a loro volta, sfruttando la popolarità dei divi del piccolo schermo come scorciatoia per le campagne elettorali. Il meccanismo è stato avviato con successo dai telegiornalisti Badaloni, Santoro, Gruber e Marrazzo. Si tenta di perfezionarlo ora con Baudo, che è più politico degli altri, forse anche di molti di coloro che lo hanno proposto. Eâ?? il campione di unâ??Italia sobria e sanguigna, conservatrice ma non reazionaria, che avanza col piede sul freno, senza però innescare la retromarcia né spegnere il motore. Unâ??Italia che trentâ??anni fa veniva definita con disprezzo «nazionalpopolare» dagli stessi intellettuali che oggi ne decantano le virtù e vorrebbero accalappiarsene i voti. Unâ??Italia che ai tempi di Andreotti avremmo chiamato «di destra», prima di scoprire che la destra era diventata un'altra cosa, più triviale e fracassona. Mentre intorno a lui il panorama cambiava, Baudo rimaneva immobile. E la fedeltà a se stesso, biglietto da visita del vero conservatore, lo trasformava per miracolo in un apostolo della resistenza: al cattivo gusto debordante.
Può darsi che queste considerazioni abbiano influito sulla decisione del centrosinistra di fargli sfidare, dopo Bonolis, anche il governatore siculo Totò Cuffaro: lâ??uomo di «Settevoci» contro quello dei millebaci. Ma certi ragionamenti avrebbero avuto ben poco ascolto ai piani alti dellâ??Unione, se non fossero stati sostenuti dalla popolarità televisiva del personaggio, che rimane la vera ragione di una candidatura che sa di sfida impossibile e perciò esalta il lato donchisciottesco di Baudo. L'unico del suo carattere che potrebbe indurlo ad accettare una partita che in caso di vittoria avrebbe per lui un costo umano insostenibile: il governo in diretta di una sola regione, senza la possibilità di andare in onda nelle altre diciannove.
Per gli estimatori di Pippo Baudo, che un uomo di spettacolo considerato rottamabile fino all'altro giorno sia riuscito in meno di una settimana a riprendersi lo scettro della domenica televisiva contro il favorito Bonolis e a ricevere da Prodi la candidatura a governatore della Sicilia è la prova evidente che la vita premia i coraggiosi e i democristiani, ma soprattutto che i due aggettivi riescono talvolta a convivere nella stessa persona. Ma per il sistema politico, e per la sinistra in particolare, l'indicazione di un Baudo si pone agli antipodi del coraggio. Eâ?? sudditanza pura, ennesimo capitolo di una deriva in apparenza inesorabile, che può definirsi Berlusconismo senza Berlusconi. Un vizio d'imitazione che induce gli oppositori del Cavaliere a demonizzare l'uso della televisione come arma impropria di ricerca del consenso, salvo poi ricorrervi a loro volta, sfruttando la popolarità dei divi del piccolo schermo come scorciatoia per le campagne elettorali. Il meccanismo è stato avviato con successo dai telegiornalisti Badaloni, Santoro, Gruber e Marrazzo. Si tenta di perfezionarlo ora con Baudo, che è più politico degli altri, forse anche di molti di coloro che lo hanno proposto. Eâ?? il campione di unâ??Italia sobria e sanguigna, conservatrice ma non reazionaria, che avanza col piede sul freno, senza però innescare la retromarcia né spegnere il motore. Unâ??Italia che trentâ??anni fa veniva definita con disprezzo «nazionalpopolare» dagli stessi intellettuali che oggi ne decantano le virtù e vorrebbero accalappiarsene i voti. Unâ??Italia che ai tempi di Andreotti avremmo chiamato «di destra», prima di scoprire che la destra era diventata un'altra cosa, più triviale e fracassona. Mentre intorno a lui il panorama cambiava, Baudo rimaneva immobile. E la fedeltà a se stesso, biglietto da visita del vero conservatore, lo trasformava per miracolo in un apostolo della resistenza: al cattivo gusto debordante.
Può darsi che queste considerazioni abbiano influito sulla decisione del centrosinistra di fargli sfidare, dopo Bonolis, anche il governatore siculo Totò Cuffaro: lâ??uomo di «Settevoci» contro quello dei millebaci. Ma certi ragionamenti avrebbero avuto ben poco ascolto ai piani alti dellâ??Unione, se non fossero stati sostenuti dalla popolarità televisiva del personaggio, che rimane la vera ragione di una candidatura che sa di sfida impossibile e perciò esalta il lato donchisciottesco di Baudo. L'unico del suo carattere che potrebbe indurlo ad accettare una partita che in caso di vittoria avrebbe per lui un costo umano insostenibile: il governo in diretta di una sola regione, senza la possibilità di andare in onda nelle altre diciannove.
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