di Udo Gümpel
Silvio Berlusconi e i suoi sono riusciti a diffondere la leggenda che i giudici ce l'hanno con lui. Ma non è vero. Anzi, semmai è il contrario: sono troppo indulgenti, scrive Udo Gümpel
da Italieni
Una delle leggende più incredibili diffuse in Italia è quella secondo cui Silvio Berlusconi sarebbe perseguitato dalla giustizia. Questa idea fantasiosa gode di molto credito ma manca di fondamenti concreti. Anzi, è vero il contrario.
Del resto, se Berlusconi fosse davvero una vittima della giustizia, se si sentisse ferito dalle calunnie di perfidi giornalisti, certo non rinuncerebbe all'opportunità di discolparsi almeno di fronte a un tribunale straniero, quando i corrispondenti esteri a Roma ripropongono nei loro paesi le calunnie dei colleghi italiani.
Insomma, se Berlusconi fosse perseguitato dalle toghe rosse avrebbe sporto querela nella patria del diritto, presso giudici considerati da tutti indipendenti come quelli britannici, per scrollarsi di dosso l'accusa di avere rapporti con la mafia, di aver ospitato un boss nella sua villa di Arcore, di aver evaso il fisco, di aver finanziato illegalmente Craxi e di aver corrotto dei giudici.
Ma nulla di tutto ciò è accaduto. E le sue schiere di avvocati hanno lasciato che scadessero i termini per ricorrere in giudizio davanti a un tribunale britannico contro il libro su Berlusconi, scritto dal mio collega David Lane (L'ombra del potere, Laterza 2005). Invece il Napoleone di Arcore è sceso in campo di fronte al tribunale di Roma contro la traduzione italiana del libro.
Questa diffidenza verso le corti inglesi, tedesche, francesi, spagnole e statunitensi nasce da un solo motivo: in quei paesi il Cavaliere potrebbe impedire la pubblicazione di un libro o di un film scomodi, a condizione di dimostrare sotto giuramento che le affermazioni degli autori sono false. Quindi dovrebbe giurare che è lui ad aver ragione. Ma dopo massimo sei settimane il tribunale comincia a esaminare le prove, per verificare se le dichiarazioni fatte sotto giuramento sono vere.
I giudici dovrebbero controllare se è vero che un boss mafioso sia uscito di prigione e abbia dichiarato come domicilio "Villa San Martino, Arcore", suonare a "Berlusconi". E se gli autori del libro avessero ragione, allora le cose si metterebbero male per il querelante. Le accuse gli si ritorcerebbero contro. E sarebbe subito processato per falsa testimonianza.
Il Cavaliere conosce bene questo reato. Infatti, durante un processo intentato contro il libro Inchiesta sul Signor Tv di Giovanni Ruggeri e Mario Guarino (Kaos 1994), Berlusconi aveva dichiarato sotto giuramento di non aver mai fatto parte della Loggia P2. Per quell'affermazione il Cavaliere ha ricevuto quella che finora è stata la sua unica condanna definitiva, che poi è stata subito sottoposta ad amnistia.
? per questo che non sporge querela all'estero: sarebbe un boomerang. Qui in Italia, invece, il premier conta su una giustizia che può calpestare come un tappetino. In quale altro paese un imputato potrebbe uscire indenne da così tanti processi ottenendo sempre un'assoluzione grazie alle attenuanti generiche? Chi legge gli atti scopre fino a che punto i giudici si arrampicano sugli specchi per archiviare un caso, spesso con la formula "il crimine è stato commesso... i fatti sono reali", ma è acqua passata.
Il fatto che ci siano ancora pochi pubblici ministeri che osano procedere contro Berlusconi non ha niente a che fare con l'imbarazzante servilismo della maggior parte dei giudici italiani. Tengono famiglia, vogliono far carriera: è questa la vera situazione dei tribunali italiani, la cui malleabile adattabilità ai rapporti di forza politici non è molto diversa da quella dei mezzi d'informazione.