di Massimo Riva
da L'Espresso
Al di là dei capitoli più corposi relativi alle grandi voci di entrata o di spesa, la Finanziaria 2006 è costellata da una serie di misure minori che, sul piano dei principi istituzionali, rappresentano degli autentici obbrobri
Il diavolo si nasconde sovente nei dettagli. E la Finanziaria 2006, appena presentata dal governo Berlusconi, costituisce l'ennesima conferma di questa gesuitica lezione. Infatti, al di là dei capitoli più corposi relativi alle grandi voci di entrata o di spesa, il testo della manovra di bilancio è costellato da una serie di misure minori per la quantità di denaro coinvolta ma che, sul piano dei principi istituzionali, rappresentano degli autentici obbrobri. Spicca fra questi quello che riguarda il finanziamento delle diverse Autorità di controllo sulla Borsa, sull'energia, sulle comunicazioni e così via. Ebbene, secondo i progetti del governo, dal 2006 tutti questi organismi - unica eccezione sarà il Garante per la Privacy - dovranno campare a spese degli operatori dello specifico settore, pur con qualche diversità nei criteri di contribuzione. Si estende e si generalizza così il perverso modello già adottato una decina d'anni fa per la sola Autorità per l'energia, che dal 1995 è mantenuta dai versamenti delle aziende operanti su quel mercato.
In altri termini, anziché porre riparo a un errore commesso in passato, affidando ai vigilati la sopravvivenza materiale dei vigilanti, si persevera sulla strada sbagliata, aggravando quello che appare come un clamoroso sfondone istituzionale. Per carità , mi guardo bene dal pensare che, per esempio, i componenti dell'Autorità per l'energia possano autorizzare un aumento delle tariffe elettriche o del gas, pensando che la conseguente crescita del fatturato delle aziende potrà tradursi anche in un aumento dei contributi delle medesime e, quindi, in maggiori risorse per l'attività del proprio organismo. Ma il conflitto d'interessi è nelle cose.
Certo, i membri delle varie Autorità sono tutti uomini di alta e specchiata virtù, ma proprio per questo lo Stato non dovrebbe tenerli nell'imbarazzantissima posizione di chi vede il proprio stipendio e le proprie spese di indagine finanziati dagli stessi che sono oggetto di quelle che dovrebbero essere le loro imparziali verifiche. Insisto: si tratta di un conflitto d'interessi oggettivo e conclamato. Va bene che questa è materia notoriamente indigesta per il governo Berlusconi a causa della doppia o tripla parte che il presidente del Consiglio si trova a recitare soprattutto sul mercato televisivo. Ma estendere questa totale insensibilità sul tema dei conflitti d'interessi anche al sistema delle Autorità di vigilanza significa svilire il senso stesso della scelta istituzionale che ha portato alla creazione di organismi di controllo sulle attività economiche caratterizzati da poteri arbitrali e da funzioni 'terze' rispetto ai soggetti in competizione sui diversi mercati.
Che senso ha, in questo quadro, tutto il can can politico messo ora in piedi per riformare l'azionariato di Bankitalia, estromettendone gli istituti di credito vigilati dalla medesima? Forse staremmo meglio se domani lo stipendio del governatore fosse pagato dalle banche? Il fatto è che il governo Berlusconi-Tremonti dimostra, una volta di più, di non avere la più pallida nozione del ruolo dello Stato regolatore in una moderna ed evoluta economia di mercato.