di Paolo Martini*
Alla fine Celentano ha davvero scritto una pagina di storia, non solo della televisione. E bisogna onestamente dare atto al nuovo direttore generale Meocci di aver consentito la messa in onda del ??capolavoro?, come da definizione del presidente della Camera PierFerdinando Casini. E?? un bene per tutti che su una questione così fondamentale come la libertà d??espressione non abbiano titubanze le massime autorità istituzionali. Non resta che auspicare, come ha ricordato subito giustamente Romano Prodi, che ??la stessa libertà sia garantita dalla Rai ad altri?: un talento come quello di Adriano Celentano è irraggiungibile, ma speriamo che ??Rockpolitk? sia solo l??inizio di una nuova televisione pubblica dove finalmente possano tornare ad esprimersi tutte le voci.
Ed è molto importante che la battaglia di Articolo 21 per riconquistare la Rai alla vocazione plurale e di servizio da cui è stata strappata non si fermi proprio adesso: anzi, la forzatura del clan Celentano può essere salutare e aprire le porte a tutti. Tutti, si badi bene, ed è questo che deve essere il connotato differente della battaglia per trasformare la Rai. Guai se si trattasse di una guerra per ripulire la tv di Stato dagli ??occupanti? berlusconiani, o peggio ancora per passare da una distorsione politico-culturale all??altra. E, anzi, bisogna prendere l??esempio proprio da Celentano che, pur non rinnegando le sue radici cattoliche e le sue idee che a molti paiono un po?? reazionarie e di certo antimoderne, ha aperto a Michele Santoro, ai Freccero, Cugia e Cerami. Forse Santoro un impegno in questo senso, sempre sperando che riesca a riavere il ??suo microfono? e il suo programma quanto prima, dovrebbe prenderlo.
Ma c??è un??altra lezione fondamentale che viene da Celentano: ed è quella della sua isola del rock, così radicalmente diversa e opposta dall??Isola dei reality che hanno invaso la tv e la stessa informazione, persino quella cosiddetta d??approfondimento, da ??Matrix? a ??Porta a porta?. La battaglia sulla qualità della televisione e sulla rappresentazione sociale che fa la tv non è di retroguardia, non è da moralisti cattolici, non è affatto prepolitica o illibertaria. Su questo ci si deve confrontare, se sia poi così sano e autenticamente popolare lasciare la programmazione televisiva alla falsa deriva del marketing e delle logiche industriali.
* Giornalista e autore di XII Round