di Francesca De Carolis
E' proprio vero: sono le condizioni peggiori a rendere le cose straordinarie. E le reazioni e le polemiche seguite alla trasmissione del servizio di Maria Grazia Mazzola, con le parole del Procuratore antimafia Grasso sulle coperture politiche alla latitanza di Provenzano, svelano meglio di qualsiasi teorema il trucco che ha fatto dell'informazione televisiva quello specchio deformante che è diventato negli ultimi anni.
Lo svela soprattutto la stupefatta reazione a tanto clamore dello stesso Grasso: cosa aveva detto che non avesse già detto? E' il sottosegretario all'interno Mantovano che dice: 'appartiene a dati processualmente già consolidati che questa latitanza ( quella di Provenzano ndr ) ha potuto contare su personaggi politici e su qualche rappresentante delle forze di polizia'. E' vero: cosa c'è da dire che non sia stato stato già detto, che non venga ripetuto nelle aule dei tribunali, che non sia scritto negli atti dei procedimenti giudiziari, che non sia stato possibile leggere sulle pagine di qualche giornale che ancora si ostina a parlarne....
Ma la cosa che da tempo non veniva fatta è che queste 'cose già dette' venissero ricordate e mandate in onda con il primo telegionale della prima rete tv. Lo scandalo è tutto qui. Ma non è scandalo da poco. Perché c'è una fetta troppo grande del pubblico che ci guarda che si informa solo attraverso la televisione, e se quel che dice la televisione assume una consistenza quasi vicina alla realtà , nella logica perversa di chi le nostre tv le controlla, quello che non viene detto in televisione è cosa che non esiste. Che non è cosa tanto peregrina se si arriva al paradosso della frase pronunciata dal povero ragazzo che,alcuni giorni fa a Roma, ha ucciso i genitori: 'Non ho ucciso i miei genitori.
Ci credo solo se lo dice la tv'. Il trucco quindi è semplice: non è necessario dire cose false. E' suffciente non dirle, le cose. Da quanto tempo non si faceva per il nostro tg una vera inchiesta sui rapporti fra mafia e politica? Come se non fosse di interesse pubblico venirne a conoscenza. Come se ci fossero parole, binomi, che è meglio non pronunciare. E' questa la condizione peggiore che ha reso straordinaria una frase in altri contesti 'ordinaria' detta al microfono di una giornalista ostinata.
Travolti dal ritmo isterico dei tempi e delle cose, o magari del prossimo uragano, fra breve la polemica di queste ore sarà in qualche modo archiviata. Ma le cose che da un pò di tempo sembra non si possano più dire non sono poche, e non può essere archiviata la discussione sulla TV pubblica che non c'è più. Sulla TV che manda in onda un'Italia che non c'è. Che non parla più delle cose vere, delle persone, dei problemi del paese reale, se non annacquandoli e rendendoli incomprensibili con un malinteso uso della par condicio.
Anche questo, abilissimo trucco quando applicato all'intera informazione, che fa in modo che non si producano più analisi vere, ma semplce sommatoria fra chi denuncia un problema e chi assicura che il problema non esiste (mediamente il ministro o la controparte di turno ). Per ricominciare, per uscire dalla cappa che soffoca tanta parte dell'informazione del servizio pubblico, per sottrarsi al controllo quanto mai pervasivo in questo momento del mondo politico e di tutti gli interessi che vi si affollano intorno, bisognerebbe modificare le cose alla radice. Un sistema, credo, non è buono o cattivo. Non lo si può definire buono o cattivo a secondo di chi lo usa, e se viene usato meglio o peggio. Oggi ci troviamo difronte alla degenerazione di premesse già , a mio parere, discutibili.
Un articolo di Mario Pirani su Repubblica, all'inizio di ottobre implorava: staccate la spina ai partiti. E' vero, staccare questa spina. La corrente che ne arriva ormai è solo occupazione di spazio pubblico e paralisi. E ora interviene Prodi per dire Basta alle lottizzazione. Plaudono i colleghi di schiena dritta. Bene. Vedremo. E all'interno del servizio pubblico, credo che bisogna ripartire dalle nostre regole. Mettere da parte i puntelli politici a poltrone e carriere e chiedersi qual è il ruolo del servizio pubblico, e al servizio di chi si debba essere. Se si hanno dei doveri, e quali, nei confronti del cittadino ( che continua a pagare un canone).
Ripartire dalle regole della professione, quella giornalistica, che avrebbe il dovere di esercitare costantemente la critica nei confronti di chi governa, chiunque governi: il cui compito dovrebbe essere, come un tempo mi hanno insegnato, fare il cane da guardia della democrazia, e non l'officiante dei suoi funerali. Riparlare dunque di gerarchia di notizie, professionalità , meritocrazia, competenze, cose tutte da riportare al centro dell'organizzazione del lavoro.
Così magari nessuno si stupirà più per una denuncia che ha la 'sola novità ' di essere stata ascoltata da troppe persone, di essere stata pronunciata dove non doveva essere pronunciata. E magari parlare delle cose che il pubblico ha diritto di conoscere sarà diventata la semplice normalità .