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Articolo 21 - Editoriali
La Repubblica della Tv
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di Corrado Stajano

da L'Unita'

Câ??è un gran disordine nel cortile della Repubblica. Una Simona Ventura urlante, la croce sul petto più grande della testa, può far da effigie allâ??isola dei famosi approdata sulla terraferma, apripista dei tanti che parlano, dicono, ridicono, disdicono, smentiscono, negano lâ??evidenza, divorano maiali allâ??ingrosso, camminano su pantani innominabili, fanno gesti sconci come la gentile onorevole Santanché davanti a Montecitorio o urlano insulti irriferibili come Ignazio La Russa, lo statista.
Lui, La Russa, è felice che qualcuno dei giovani in piazza gli abbia dato del fascista perché devâ??essere una ben dura prova travestirsi per tanti anni da signore liberale.
Celentano ha tenuto banco per giorni e seguita a farlo mentre in Parlamento si stanno approvando con furia e disprezzo per la minoranza leggi che minano le fondamenta della Repubblica. Tra le altre la controriforma che cancella 56 articoli della Costituzione e la legge ex Cirielli, meglio nota come salva Previti. I giornali dedicano a Celentano pagine e pagine, assomigliano ai tifosi di tutti i Bar Sport della Penisola che dal lunedì al giovedì discutono della partita della domenica passata e nella seconda parte della settimana discutono della partita che sta per essere giocata.
Poi câ??è la tv degli affetti. Fassino ha esaudito il sogno della tata. Ã? andato alla trasmissione della De Filippi dove, dopo un inenarrabile sforzo della memoria, ha riconosciuto la domestica Elsa che non vedeva da tempo. Ma non mancano gli estimatori: bisogna partecipare a trasmissioni che servono a farsi conoscere nel profondo, è qui il cuore del popolo. Non mangiamo bambini. (Anche se prediligere fin da piccoli, come Pierino, lâ??insalata russa resta un segno inquietante).
Lâ??elettrodomestico tv è diventato la vita, la società, la politica, lo specchio delle nostre brame. Tutto, sembra, viene affidato ai talk show con le seggioline in tondo, ai Vespa e ai vespini, cicisbei di regime, alla Palombelli, a Zecchi, a Crepet, collaboratori fissi, che con aria saputa sentenziano banalità strabilianti e ad Alba Parietti che porta un brivido di peccato.
Conta sì la tv, le tre reti di proprietà del presidente del Consiglio, e le tre reti del servizio pubblico, la Rai, controllate a vista, quasi del tutto, dai bravi del capo. Esempio ben visibile e indecente, la tv in Italia, del conflitto di interessi che si spera, nella prossima legislatura, la nuova maggioranza non dimentichi di eliminare con una legge severa, cosa che non fece dal â??96 al 2001.
Ma insomma. Il 16 ottobre quattro milioni e più di persone sono andati a votare per le primarie dellâ??Unione e la Tv si era ben guardata dal propagandare lâ??avvenimento e lâ??organizzazione era stata davvero precaria, artigianale. Ma câ??era la voglia di rendere testimonianza, di dire che era arrivata lâ??ora di farla finita con il nefasto governo Berlusconi. Ha spiegato bene Aldo Carboni, vicedirettore del Sole-24 Ore, rispondendo domenica scorsa a un lettore: «Per i nostri politici la tv è unâ??ossessione. Per i politici e i giornali, non esiste altro Paese al mondo in cui la carta stampata dedichi tanto spazio a un mezzo che in fondo è un suo concorrente». Câ??è la prova, ha scritto ancora Carboni, che la tv non basta per vincere le elezioni: «Nel â??94 Occhetto aveva alle spalle la Rai dei professori: perse. Due anni dopo Berlusconi, oltre alle sue, aveva con sé la Rai di Letizia Moratti: perse lo stesso. Nel 2001, il centrosinistra andò alle urne fiancheggiato dalle truppe mediatiche di Zaccaria: Santoro, i Guzzanti, altri come loro, una campagna elettorale epica e una sconfitta clamorosa». (Con qualche dubbio sullâ??influenza delle truppe mediatiche. Vespa e Mimun erano ben vigili).
Lâ??autunno è sempre inquieto, qui da noi. Lâ??inverno sarà peggio. Letizia Moratti, il giorno di Santâ??Ambrogio, annuncerà ufficialmente la sua candidatura a sindaco di Milano, la città di Barbarossa alla quale nulla viene risparmiato. Dieci anni di Albertini, nel 2004 lâ??inaugurazione, il giorno del santo patrono, della Scala con un gasometro sul tetto progettato dallâ??architetto Botta e ora la Moratti che porterà tutto il suo calore umano. Andrà nelle periferie, ha già detto. Così potrà vedere che quelle scritte, «Morattila stop», non sono state fatte soltanto sui muri del centro.
Ã? cambiata lâ??aria a Milano, Bossi ha perso il suo collegio, Ombretta Colli ha perso la Provincia, i voti alle Europee e alle Regionali per Berlusconi sono diminuiti di molto. Certo, ci tocca leggere le interviste di Massimo Cacciari che, abbandonato lâ??amato don Verzé e la sua università, è diventato sindaco di Venezia, ma viene interpellato spesso, chissà perché, su Milano e sulla Lombardia.
Ha detto (al Corriere) che il centrosinistra manca di una strategia comune, che fatica a collegarsi con ciò che nasce di nuovo: «Basterebbe la puzza sotto il naso con cui è stato affrontato il tema dei â??terzistiâ?», che deve evidentemente sentir vicini, reduci di tante opposte patrie battaglie, col piede in tutte le scarpe, che adesso annusano lâ??aria frizzante e puntano sul centrosinistra. Ma è unâ??altra lâ??ipotesi di Cacciari, «unâ??utopia», la definisce. Quale? Candidare Bruno Tabacci: «Solo che è irrealizzabile, conosco i miei polli, la loro totale mancanza di agilità tattica, di spregiudicatezza. Il problema è che siamo anchilosati, (...) appesantiti da meccanismi corporativi e microburocrazie. Così rischiamo di perdere una partita».
Perché, vien da dire, non essere ancora più spregiudicati offrendo la candidatura a Marco Follini? Un bel colpo. O fare approvare col voto di fiducia una legge che renda possibile il terzo mandato per Albertini, lâ??amministratore di condominio, strappandolo alla Casa delle libertà? Sarebbe un altro bel colpo, ricco di intelligenza tattica che potrebbe tranquillizzare anche Cacciari.
Si respira una dolce aria di pazzia.
La finanziaria, per esempio. Ã? da sempre un pentolone che contiene di tutto. Ai senatori e ai deputati fanno male le braccia a furia di alzarle e le dita a furia di schiacciare i bottoncini del voto. Tra i grandi problemi della finanza si infila ogni volta lâ??impensabile. Questâ??anno: il senatore di forza Italia Lucio Malan ha proposto in un emendamento che agli ex membri di Gladio, la struttura paramilitare «Stay Behind» sciolta dal governo nel 1990, venga concesso un distintivo da mettere sulle divise, se militari, sugli abiti borghesi, se civili. Con la soddisfazione di Cossiga, paterno. Il gladio, tra lâ??altro, aveva sostituito, nellâ??esercito della repubblica di Salò, le stellette. La matrice.
E poi: per far soldi si sarebbe deciso di «alienare il fallo rosa di Vangi», scultura acquistata dal presidente Pera, collocata nella sala Garibaldi di Palazzo Madama.
Per il resto tutto bene. Le vocazioni vacillano, mancano i preti, ma i clericali ottocenteschi si moltiplicano. «Liberalconservatori». Pera, si viene a sapere, non è ancora diventato credente. Lo si dava erratamente per scontato. Ma si prodiga e appena può elogia il papa Ratzinger e a Lucca ha tenuto a battesimo un convegno sullo Spirito Santo. Il ministro Maroni è salito invece dal cardinal Ruini per illustrargli la finanziaria, come ai tempi delle Legazioni pontificie.
A monsignor Fisichella, stretto collaboratore di Ruini, durante la conferenza stampa alla fine del Sinodo, è stato chiesto: «Dopo le posizioni assunte sui Pacs darebbe la comunione a Casini, separato e convivente, e a Prodi?»
Silenzio. Rotto dopo qualche interminabile minuto: «Prodi ha tutto il diritto di ricevere la comunione». «E il presidente della Camera?» «Casini non si presenta a riceverla».
Quel che si dice un diplomatico sommo, un gran prelato del Tevere più stretto.

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