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Articolo 21 - Editoriali
Attenti ai buffoni! Satira e regime
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di Paolo Martini

(da â??Newsâ? n.27)
Non câ??è un caso perfetto per comprendere il paradosso della satira politica in Italia. Ma lâ??ultimo va più che bene, con Sabina Guzzanti nelle improbabili e pure impossibili vesti della liberata-censurata da Adriano Celentano. Riassumiamo i fatti: per provocazione Celentano immagina il suo show Rockpolitik come una sorta di Tele Comitato di Liberazione Nazionale dal regime della censura. E ovviamente decide di ospitare allâ??ultima puntata Sabina Guzzanti, una comica che da mesi fa di professione la censurata: sulla trasmissione Raiot, che qualche ottuso sforbiciatore di viale Mazzini ha voluto chiuderle senza complimenti, la Guzzanti si è costruita un personaggio di successo, ha galvanizzato teatri, ha fatto svuotare librerie con il suo volume e annesso dvd, e poi sta riempiendo le sale cinematografiche con il film Viva Zapatero! 
 Date le premesse, non mancano le tensioni anche con Celentano, che non accetta alcune parti di uno sketch che andava a parare persino sullâ??intreccio tra mafia e politica, con allusioni pesantissime: â??la libertà bisogna sapersela prendere, ma anche saperla usare beneâ?, sâ??impone un Adriano non si sa quanto lento o rock, nel caso specifico. Alla fine la Guzzanti va in onda su Raiuno e dice le sue battute che possono fare più o meno ridere, ma diventano subito un caso su cui regolarmente Bruno Vespa imbastisce mezzo Porta a Porta, manco fossero, invece del copione di un comico, un vero e proprio discorso di un leader. Poi, puntualmente, la stessa Guzzanti, con interviste a mezzo stampa e pubbliche esternazioni per presentare il suo film, se la prende pure con il liberatore Celentano: solleva a sua volta un caso, dicendo di essere stata censurata sulle battute più pesanti che voleva fare contro Berlusconi e, addirittura, a fine sketch, di essere stata â??sbattuta fuoriâ? dallâ??uomo che fino a ieri sembrava lâ??intrepido e valoroso comandante Che-lentano.
 Eccoci, in poche righe, al cuore del paradosso italiano che vede satira e politica perversamente intrecciate. Da una parte câ??è un sistema sempre più miserevole, che vive della prossimità eccessiva tra informazione e politica, e, nel senso gerarchico del termine, cioè inteso come il Potere o il Palazzo che dir si voglia, non tollera nemmeno le battute dei comici, o meglio le prende terribilmente sul serio. Dallâ??altra parte câ??è un partito dei comici che si prende altrettanto e troppo sul serio, sentendosi investito per lâ??appunto di una missione molto diversa e superiore, di tipo politico, o più ancora di tipo propriamente etico.
 Per carità, niente da dire, individualmente, agli interessati: è ovvio che Berlusconi possa sentirsi offeso se la diletta figlia del suo senatore Guzzanti va su Raiuno a dire che in Italia câ??è una dittatura, ed è persino lodevole, per cambiare esempio, che un uomo di successo come Beppe Grillo abbia scoperto in età matura la sua vocazione di difensore civico nazionale. Ma il discorso cambia sul piano del sistema, in generale: è tragicomica e avvilente la confusione di piani tra il potere e la comicità. Per fortuna non è la storia dellâ??uovo e della gallina, qui si sa come è cominciata. Dice lâ??irraggiungibile Roberto Benigni che â??il comico cerca la rigidità del potereâ?, ma in Italia senza grande sforzo ne trova subito una marmorea. Il peccato originale si data a giovedì 29 dicembre del 1962, con la celeberrima censura di Dario Fo e Franca Rame, cacciati su due piedi da Canzonissima, per aver proposto uno sketch operaista sugli incidenti sul lavoro. Per 14 anni Fo e la Rame, che pure vincono la causa di merito contro la tv di Stato, non metteranno più piede in Rai. Avevano già passato dei bei guai, senza però rimetterci il posto, persino Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi, quando nel â??58 a Un,due,tre! misero alla berlina il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi per lâ??incidente con caduta tra le braccia del generale De Gaulle. Persino il timido e innocente Corrado si vide chiudere un programma, Controcanale!, perché il suo autore più birichino (un grande giornalista, Guglielmo Zucconi) gli fece recitare una Costituzione che allâ??articolo 1 portava scritto: â??Lâ??Italia è una Repubblica fondata sulle cambiali!â?.
 La censura è talmente presente nella storia del varietà italiano che diventa presto uno dei tormentoni comici più in voga: parlano di forbici, alludono a tagli e spesso proprio incorrono nelle maglie di funzionari zelanti censori, praticamente tutti i comici che accedono al mezzo televisivo, persino gli imitatori, dal grande Alighiero Noschese, che non lavorò addirittura per due anni, dopo una battutaccia su Pietro Nenni, a Gigi Sabani dei primi anni Ottanta, che dovette andar via dalla Rai per uno sketch, scritto dallâ??ineffabile Antonio Ricci, sulle â??bustarelleâ?, i ministri e la Guardia di Finanza.
 Ci sono poi casi, come quello di Roberto Benigni e più ancora di Beppe Grillo, di personaggi che fondano la loro notorietà sullo scandalo dellâ??incidente televisivo, sulla violazione in diretta del tabù censorio. Benigni riesce a sbattere contro il muro del potere senza rompersi le ossa, dallâ??Inno del corpo sciolto ne Lâ??altra domenica di Renzo Arbore al â??Wojtylaccioâ? sul palco di Sanremo, dai notturni di Onda libera del â??77 allâ??ultima gag con Celentano. Grillo, invece, finisce di fatto espulso dal sistema televisivo e i suoi show più notevoli si possono considerare significativamente parte della stessa cronaca politica del Paese, a partire dalla celeberrima tirata contro Bettino Craxi nellâ??86, sul viaggio in Cina da presidente del consiglio del leader socialista, e a finire con la spiegazione distruttiva della legge Gasparri sul sistema tv nellâ??ultima comparsata a Striscia la notizia.
 Eâ?? in particolare negli ultimi anni che il rapporto tra satira e politica va in cortocircuito, con il rincorrersi senza tregua tra un antiberlusconismo da girotondi, che ha inviduato nella tv il fulcro dellâ??ascesa al potere di Silvio Berlusconi, e unâ??ipersensibilità censoria della maggioranza di centrodestra. E così abbiamo un comico fino a ieri più celebre per la satira di costume (e la coprolalia) che per lâ??impegno politico, come Daniele Luttazzi, che sâ??immola per la causa elettorale con unâ??intervista al giornalista dâ??inchiesta più ferocemente antiberlusconiano Marco Travaglio. E abbiamo pure, dallâ??altra parte, lâ??irrigidirsi grottesco dei filtri censori soprattutto in Rai: via la Guzzanti, via Paolo Rossi, fuori persino Paolo Hendel, il concerto del Primo Maggio che va in differita di qualche minuto per consentire eventuali tagli alle vestali governative di viale Mazziniâ?¦E, peggio ancora, abbiamo le plateali e ripetute liste di proscrizione del Presidente del Consiglio, che sanciscono la pregnanza politica della satira persino dei Vergassola!
 La confusione che regna è straordinariamente grande. Il partito dei comici e lâ??ottuso fraintendimento del potere sâ??inseguono in un circolo vizioso che qualcuno dovrà prima o poi rompere, per il bene sia della tv sia della politica. Tanto, sâ??affanna a ripetere uno dei leader storici della sinistra televisiva, il diessino Beppe Giulietti, â??non si misura certo con quello che può dire o meno una Guzzanti da Celentano il grado di libertà della televisione pubblica: non vorrei che Rockpolitik  diventasse un alibi per dire che tutto è tornato normaleâ?. Già, di normale non câ??è niente, e anche da ridere câ??è rimasto poco.
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