di Michele Mezza
Bob Woodward, l'eroe del Watergate , ha ammesso di essersi fatto coinvolgere da un giro di informazioni confidenziali anonime. Senza aver esplicitato ne ai lettori e tanto meno ai responsabili del suo giornale che di tali fonti si stava avvalendo. Si tratta dell'ennesimo schizzo di fango di quel torbido affaire che e' il Caso Miller, la giornalista del New York Times inquisita per aver rivelato, su imbeccata della Casa Bianca, l'identita' di un agente segreto della Cia moglie dell'ormai mitico ambasciatore Wilson che non voleva coprire la camapgna di disinformazione orchestratra dagli uomini di Bush sulle armi di Saddam.
Il nodo che viene al pettine, oltre a tutte le considerazioni squisitamente deontologiche,riguarda l'autonomia che oggi è palusibile riconoscere, o rivendicare, per un giornalista in una società dogve le informazioni sono clave.Essere o no parte del grande gioco che si cela dietro ad ogni rivelazione ? questa e' la domanda di base che muta quantita' e qualità delle risposte a seconda dello scenario in cui siamo immersi. L'abbondanza di accessi alle fonti che oggi contraddistingue il mercato delle news e' un elemento di complicazione, che rende meno lineare l'azione del reporter.A meno che non acquisiamo un altra logica, che potremmo definire della notizia progressiva. Ossia non smettiamo di considerare la notizia come un singolo colpo che viene sparato nella notte, ma un graduale avvicinamento a verità possibili.
Una marcia che puo' mutare di ritmo e direzione via via che il back ground dell'informazione viene integrato da fonti successive. Insomma oggi l'informazione non puo' piu' essere identificata con l'azione di rivelazione, con lo squarcio, che si realizzava con lo scoop di una volta, nel tempo della penuria delle notizie. Dobbiamo relativizzare l'impatto della singola news, diluirlo nel tempo. Mi pare l'unico modo per sottrarci al ricatto che incombe sulla professione: tacere o essere strumento altrui? Le notizie vanno date, nessuna puo' essere considerata l'ultima sul singolo argomento. Chi da l'imbeccata deve sapere che innesta una reazione a catena che non si esaurira' con la sparata teleguidata. Il giornalista continuera' a cercare, integrare l'informazione con le reazioni e le nuove fonti che la rete proporra'.
E' un modello di defa propulsiva, dove la mediazione giornalistica, e lo dice chi pone al centro della sua ricerca proprio i media senza mediatori, ritrova un suo spessore di servizio universale. Detto questo, anzi proprio perche' dico questo considero certo indecente il muro di gomma che e' stato eretto attorno all'inchiesta di Sigfrido Ranucci di Rai News 24. Anche in questo caso il lavoro del collega non deve essere considerato il punto di arrivo, la sentenza finale. E' semplicemente un fatto, un documento che muta, integrandola, la consapevolezza generale. Se qualcuno ha elementi contrari li espliciti. Se si hanno considerazioni ed intepretazioni diverse le si esponga.
Ma non si puo' tacere, negando al pubblico la risorsa di verita, relativa per quanto si vuole ma fino a prova contraia oggi incontrovertita,che la notizia contiene. nessuno lo puo' fare se non offrendosi ostaggio di altre manine, di altre logiche, di altri mestieri che nulla hanno a che fare con quello del giornalista. Dare piena ntrasparenza all'informazione, a tutte le informazioni e' l'unico modo per diferdersi dalle bufale, e quella di Ranucci non lo e' come si sta vedendo. Con la diffusione infatti della notizia non si moltiplica la propaganda ma si cespone la stessa notizia al controllo e alle contestazioni di una nuova platea armata di conoscvenza e strumenti per diffonderla.
E' in qualche modo una sorta di open source dell'informazione che sta alzando la soglia creitica del mercato.Rimuovere la notizia significa invece distorcene l'effetto, degradarla a spiffero, pettegolezzo, che continua a serpeggiare nell'ombra, ma non vede la luce. Il peggio possibile se la notizia e' falsa, un crimine professionale se e' vera. Non a caso , la stampa internazionale piu' avvertita ha subito colto questa possibilita'. Per questo l'inchiesta di Rai news 24 ha avuto paradossalmente piu' eco sulle testate estere che su quelle di casa nostra. Ora questo silenzio deve essere rotto. Non si tratta solo di un principio di liberta', come afferma la petizione per trasmnettere il reportage in prima serata. Si tratta di un esame di maturita', e di pertinenza giornalistica, del sistema paese. Ci siamo o no sul pezzo?