di Montesquieu
Non è facile, nell??esaminare la proposta di rielezione del capo dello stato, rinunciare all??uso delle categorie del pregiudizio e della dietrologia. Categorie che fanno parte della lettura delle cose politiche, ma spesso portano lontano dalla realtà, specie quando si tratta di istituzioni. Un metro di valutazione possibile, perché concreto, è l??esame dei rapporti tra il capo dello stato medesimo e la maggioranza: il capo del governo, i presidenti delle camere, ma anche i leaders dei partiti della coalizione del centrodestra. Partendo dal proponente, il vicepresidente del consiglio, ministro degli esteri e anche capo del secondo partito della coalizione. Non se ne ricordano motivi di contrasto specifici con il Quirinale, nel passato, e non sembra di vederne nel futuro immediato. Potrebbe essere sincero, il ministro degli esteri: purchè nella valutazione si rinunci anche a quel tanto di dietrologia che non è semplice processo alle intenzioni.
Volendo sintetizzare in una parola il rapporto tra il capo dello stato e il capo del governo in questi anni, quella parola è tensione. Tensione continua. Latente, mascherata dietro momenti di tirata cordialità ?? molto minore per intenderci, di quella esibita dal presidente del consiglio con i grandi leaders del mondo - ; tensione piena di elementi di oggettivo conflitto, ininterrotti per l??intera durata della legislatura. Le ha tentate tutte, il capo dello stato, per conciliare fino in fondo il proprio dovere di custode della costituzione con quello di mantenere il più possibile di armonia istituzionale. Un vero rompicapo: basta pensare agli sforzi fatti, anche usando prassi sostanzialmente innovative, per evitare che il numero di leggi da rinviare alle camere corrispondesse al numero di leggi effettivamente rinviate senza rinunciare all??effettivo esercizio della propria funzione.
Pensando alla concentrazione di passaggi delicati nei prossimi mesi, è più facile scorgere, piuttosto che un desiderio del capo del governo di avere lo stesso presidente della Repubblica per i prossimi sette anni, un inconfessabile ed irrealizzabile auspicio di un presidente diverso per i prossimi cinque, sei mesi. Diverso, ovviamente, non altro: diverso da quello spettro di intransigenza che potrebbe frapporsi ad irrinunciabili interessi del capo del governo.
Usando la stessa sintesi estrema, gelo è la parola ideale per definire i rapporti tra i presidenti delle camere e il capo dello stato. Gelo continuo, quasi un ghiacciaio perenne, da parte del presidente del Senato; gelo sopravvenuto, dopo stagioni più miti, da Montecitorio. Il cosiddetto triangolo istituzionale, quel patto di difficile definizione costituzionale, ma di utile coesione tra le massime istituzioni di garanzia per fronteggiare il passaggio repentino di sistema elettorale e politico, è un ricordo del passato. Il capo dello stato ha dovuto prendere atto che il detentore delle decisioni parlamentari risiede fuori dal parlamento: e l??opera di persuasione morale diretta a mitigare l??aggressività legislativa del governo ha introdotto gli incontri a due tra Quirinale e palazzo Chigi, per una gestione il più possibile sorvegliata dell??iter legislativo di numerosi progetti di legge. Incontri che nulla hanno a che vedere con quelli di rituale informativa sulle decisioni all??ordine del giorno del consiglio dei ministri, alla vigilia delle riunioni dello stesso. Solo ultimamente, la remissività del presidente della camera nei confronti del capo del governo si è tramutata in qualcosa di diverso, che non è però la difesa dell??autonomia di quel ramo del parlamento e del proprio ruolo terzo. Rinunciando al ruolo di uomo di Stato che troppo facilmente viene regalata, in cambio di nulla, ai presidenti delle assemblee parlamentari, è divenuto parte lui medesimo. Parte autonoma, con propri obiettivi legislativi e politici, perseguiti attraverso l??utilizzo degli strumenti di fissazione dei tempi e dei tempi di cui dispone in quanto presidente della camera. Semmai questa posizione dovesse rigenerare l??esigenza di un rapporto con il capo dello stato, sarebbe un rapporto tutt??altro che collaborativo.
Si può credere, in conclusione, e davanti a questo quadro, ad una reale volontà di rielezione del capo dello stato da parte della maggioranza? Una risposta positiva è possibile solo se la si unisce ad un accentuato pessimismo sull??esito delle prossime elezioni, e alla convinzione che con un capo dello stato realmente indipendente è più facile convivere stando all??opposizione che non dal governo e dalla maggioranza.