di Piero Ricca
Lo steward e la mafia
Che perfetto steward dell'Alitalia sarebbe stato questo Casini! Ha l'altezza, i modi, i capelli imbiancati al punto giusto. E invece no: si è incaponito a voler fare politica. Portaborse di Forlani, deputato Udc, presidente della Camera. E pure genero, more uxorio, di Caltagirone. Che carriera! Qualcuno pensa che sia un politico di razza, un serio moderato. Magari pure un liberale, che non sfigurerebbe al Quirinale. Occorre prepararsi al peggio. Di certo lo steward è dotato di un buon autocontrollo. Sotto i suoi occhi sono passate le peggiori schifezze degli ultimi decenni, ma lo steward non ha fatto una piega. La credibilità internazionale dell'Italia è scesa ai minimi storici, la Camera da lui presieduta ha licenziato leggi per sottrarre alla giustizia gli uomini del clan, sono stati cacciati d alla tv giornalisti e artisti scomodi, le istituzioni sono state usate come uno sconcio retrobottega di affari e impunità. Si è approvata perfino una norma per impedire a un pericoloso galantuomo come Caselli di diventare procuratore nazionale antimafia.
Ma lui, dritto e prestigioso come uno steward di prima classe, non ha perso occasione per invitare tutti ad "abbassare i toni, evitando strumentalizzazioni che non giovano al Paese". Era un ritornello rivelatore: l'ipocrisia codarda spacciata per moderazione. Ora lo steward scende in campo in vista delle elezioni (senza naturalmente lasciare il suo ruolo di "garanzia" a Montecitorio) mettendo la propria accigliata faccia di bronzo su mega-manifesti sei per tre, sotto lo slogan: "Io c'entro". Una confessione.
"Responsabilità" è la parola chiave della comunicazione del partito dei chierichetti furbi. Per esempio la "responsabilità" di contribuire ad approvare la riforma della Costituzione e il giorno dopo rivelare a mezza bo cca: "Non è che questa riforma mi convinca del tutto". Cioè la "responsabilità" tipica di chi usa gettare il sasso e nascondere la mano, come lo steward ha fatto l'altro giorno. S'era scagliato contro il capobanda dicendo che lui, l'allievo di Forlani, mai avrebbe impostato una campagna elettorale all'insegna della lotta ai bolscevichi, visto che "l'Italia è stanca di illusioni e illusionisti". Poi il capobanda gli ha tirato le orecchie e lui, lo steward, per non fare la fine di Follini, ha subito chinato il capo: "Non mi riferivo a Berlusconi", si è affrettato a precisare. Saremmo tentati di chiedergli: può dirci, Eccellenza, a chi si riferiva di preciso? Ma sarebbe fatica vana: non lo sapremo mai. Gli steward prestati alla politica parlano per allusioni, buone per i titoli del tg della sera. Se poi vengono chiamati ad assumersi la responsabilità di quel che dicono, rispondono: io non c'entro, è colpa dei giornalisti.
L'altro giorno lo steward era in Sicilia, il granaio elettorale degli uddicini. Nell'isola il partito dello steward viaggia intorno al 16% nonostante la decina di deputati regionali indagati, imputati o arrestati. Per mafia.
Sul tema lo steward è sempre stato molto responsabile. Indimenticabile il pubblico telegramma di solidarietà inviato al senatore Marcello Dell'Utri il giorno prima che il tribunale di Palermo lo condannasse a nove anni per concorso esterno.
"Non possiamo lasciare la questione morale alla sinistra, sarebbe un grave errore", sillabò qualche mese dopo al congresso del suo partito, sotto lo sguardo compiaciuto del presidente di quella nobile assise, Salvatore "Totò" Cuffaro, il "governatore" della Sicilia a processo per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. L'altro giorno lo steward ha rincarato la dose. Ecco le frasi chiave del suo pensiero antimafioso:
Non parliamone
"Evitiamo di strumentalizzare la mafia in politica. Evitiamo di farla entrare nel tritacarne della polemica politica, altrimenti le daremo una mano".
Insieme
"Cosa nostra è destinata a colpire chi governa. I partiti devono combatterla insieme, perché è un tumore che aggredisce alternativamente tutte le forze politiche, altrimenti non è possibile sconfiggerla".
Non crede
"Non credo a chi dipinge gli amministratori siciliani come burattini e burattinai nelle mani della criminalità organizzata".
Progressi
"In questi anni la diffusione della cultura della legalità ha fatto progressi".
Lima, Ciancimino e zio Giulio
"Gli uomini possono sbagliare, ma noi siamo eredi di una tradizione di servitori dello Stato che sono state vittime della mafia".
Le cronache informano che prima dello steward hanno preso la parola il segretario nazionale dell'Udc Lorenzo Cesa e Totò Cuffaro, entrambi molto applauditi.
Parole chiare e sobrie, quelle di Cesa:
- "Caro Totò, sei grande e ti vogliamo bene; sei grande per il segretario nazionale, per il presidente nazionale, per tutti, dal primo all'ultimo iscritto dell'Udc", ha detto a Cuffaro.
- "La mafia mi fa schifo, ma mi fa schifo anche Santoro che è venuto in Sicilia per fare il santone e accusare Cuffaro".
La colpa di Santoro? Aver presentato il documentario "La mafia è bianca", nel quale si danno alcune notizie, evidentemente non querelabili. Per esempio queste:
- Totò Cuffaro ha ammesso di aver chiesto voti al boss Angelo Siino, l'ex ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra. "Me lo presentarono come un rallysta", si è giustificato
- Nel retro di un negozio, in gran segreto, si è incontrato con l'ing. Michele Ajello, re delle cliniche siciliane, poi arrestato come il prestanome di Bernardo Provenzano.
- Il suo pupillo Domenico Miceli ha incontrato più volte il boss Giuseppe Guttadauro.
Incrociando le parole dello steward con siffatte evidenze, ci si può chiedere:
- C'è bisogno del verdetto del la Cassazione per dire che dai politici che si incontrano affettuosamente con i mafiosi non ci si può attendere nulla di buono?
- Può essere considerato un progresso sulla via della legalità la permanenza in ruoli di responsabilità istituzionale di personaggi sotto processo (o prescritti) per mafia?
- Con quale coerenza si respinge come una strumentalizzazione la denuncia politica del malaffare mentre si ripete a gran voce che la giustizia non deve sostituirsi alla politica?
Avanti mister Caltagirone, ci aiuti a capire. Su questioni di tale rilievo le parole di fumo della terza carica dello Stato rischiano di dare una mano alla mafia.