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Se una voce, come il manifesto, chiude!
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di Gian Mario Gillio*

Se una voce, come il manifesto, chiude!

Ricordate i fatti di Genova? Come dimenticarli. Era il luglio del 2001 quando al G8 avvennero cose inenarrabili per un paese che si vuole, oggi come allora, definire democratico e civile. Proprio in quei giorni lessi su il manifesto la cronaca di una tragedia e dei pestaggi ai danni di una società civile per la gran parte pacifica. Donne e ragazze, anziani con lo zainetto sulle spalle, giovani attivisti per i diritti umani, associazioni umanitarie, rappresentanti di chiese: erano tutti uniti per protestare contro un mondo iniquo e a rischio di deriva. Questo succedeva tanti anni fa, ma segnava l’inizio di un modus operandi pericoloso e oggi ancora evidente nella cronaca di questi tempi. La morte di Giuliani (il giovane «armato» di estintore) seppe, in tutta la sua tragedia, dare voce alla verità; il pestaggio alla scuola Diaz («da macelleria messicana») ne dimostrò la premeditazione; le umiliazioni nelle caserme e nelle prigioni l’evidenza di una sopraffazione morale, oltre che fisica. In quei giorni, la società civile ha vissuto sulla propria pelle l’impotenza di chi si muove solo protetto dall’esile scudo dei propri diritti. Tutto ciò avveniva per le vie e le strade di Genova, in molti casi lasciate al pieno dominio di pochi e sparuti gruppetti di black block che riuscirono a generare panico e provocare distruzioni programmate. Le telecamere false e dorate delle televisioni spesso vollero rappresentare, non curanti della tragedia in corso, solamente i fasti di un evento politico: lauti pranzi, intensi colloqui tra i leader mondiali, tutti sorridenti e gaudenti. Era il preludio di una pericolosa escalation nel mondo della fiction. Il suo culmine, oggi, è rappresentato dalla tragedia dell’Aquila, dal G8 tra le rovine abruzzesi e dalle recenti manifestazioni di protesta a Roma. Nelle immagini del dopo terremoto: il papa in auto con Bertolaso alla guida, Obama e Berlusconi ripresi tra abbracci e ammiccamenti, poi le promesse di ricostruzione e altre di basso tenore come «tutti al mare a mie spese» e, solo sullo sfondo, la tragedia. Quando la verità si affaccia e chiede la scena, arrivano dure le reazioni, come le «botte di contenimento» di pochi giorni fa ai danni dei manifestanti abruzzesi già stanchi e strumentalizzati, poi nuovamente umiliati. Da qui affiora, a nove anni di distanza, la memoria per i fatti di Genova. Di nuovo la polizia in atteggiamento antisommossa, di nuovo manganellate, ahimè, questa volta anche ai disabili. «Povera Italia», direbbe Berlusconi, come ha già osato dire, proprio lui! La situazione si è dunque riproposta: manifestanti da una parte e polizia dall’altra. I dipendenti statali e sottopagati con il manganello in mano e dall’altra la società civile che chiede giustizia, tutti e due a farsi la guerra. Una battaglia tra poveri. Torniamo a Genova. La kermesse mondiale assumeva toni paradossali, l’élite politica protetta da recinzioni e dall’altra la città in rivolta, con scene agghiaccianti e manganellate alla popolazione inerme. Le ore passavano lente e inesorabili, tra violenze e paura, molti media televisivi, spesso noncuranti della realtà, raccontavano di promesse per un mondo migliore, dell’incremento di fondi per gli aiuti umanitari al «terzo mondo» e di nuovi equilibri geopolitici. Il terzo mondo era già lì, davanti agli occhi di tutti, insomma, davanti agli occhi di chi voleva vedere e poteva farlo grazie alla libera informazione. Il manifesto raccontava, documentava e fotografava. Chi come me era lontano, poteva conoscere la storia di quei giorni. Il manifesto informava allora come ha continuato a fare fino ad oggi. Questa voce, come tante altre, oggi rischia di scomparire. I tagli all’editoria «grazie» all’eliminazione del diritto soggettivo e successivamente l’abrogazione delle tariffe agevolate per le spedizioni lasciano pochi dubbi sulla possibilità di un futuro per giornali e riviste di cooperative, organizzazioni no profit, chiese e, più in generale a carattere culturale. Gli ultimi provvedimenti sono un grave e ulteriore bavaglio con cui il ministro Tremonti prova a chiudere ogni spiraglio di libertà e di informazione. Queste voci sono «l’ultima spina nel fianco del regime mediatico berlusconiano», ha ricordato Norma Rangeri in occasione dell’assemblea pubblica del quotidiano davanti al Parlamento, lo scorso 14 giugno. Per questo motivo la rivista Confronti ha voluto aderire all’iniziativa e sarà presente anche per le prossime. Ci sarà per sostenere un giornale, il manifesto, che ha saputo stimolare capacità critiche e di opinione e che, con la sua diffusione e malgrado le mille difficoltà, è sempre riuscito ad essere luogo di confronto per un sano e concreto dibattito. Ci saremo anche per ricordare che i tagli all’editoria sono un danno alla cultura del nostro paese. Molte testate, non solo il manifesto, sono a rischio. Oggi è necessario restare uniti e combattere la mediocrità imperante, salvare le libertà di opinione e di espressione e la possibilità di poter informare. E, come lettori, di poter essere informati.

*direttore di Confronti


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