Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - Editoriali
Ma che ci fanno i giornalisti?
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Roberto Cotroneo

da L'Unità
L??altra sera a «Porta a Porta» il presidente del Consiglio e delle Televisioni Silvio Berlusconi pareva più lucido del solito. Nel senso che il trucco, quella roba coprente che - spiegano i truccatori televisivi - serve a toglierti quel lucido dalla faccia, era stato dato con molta parsimonia. Faccia a parte, i contenuti invece erano sempre i soliti. Ormai è un canone. Inizia con il minutaggio, come lo chiama lui, e dice che Fassino, D??Alema, Rutelli, Capezzone, e quant??altri, hanno occupato il video molto più di lui, e proprio per questo ora lui si deve rifare.

Di fronte a questa affermazione il conduttore ??di turno?, è proprio il caso di definirlo in questo modo, cincischia qualcosa, come a dire, ma su Presidente cosa dice, e lui insiste. Dopo il minutaggio c'è l'armeggiare dei fogli, da cui consulta dati che paiono più indiscutibili dei dieci comandamenti, e infine quel modo di condurre i dibattiti e di dare le risposte che non porta a un contraddittorio o a un dialogo, ma è una prova di forza. Meglio: un comizio. Solo che da un po?? di tempo i comizi sono preparati sotto forma di dialogo. Dove da una parte c'è Berlusconi che parla senza fermarsi, dall'altra domande sparse, di quelle che si possono sempre aggirare.

Così dopo i programmi di intrattenimento, dopo il mesto Martelli, è toccato a Vespa ospitare il premier. Ora, ci sono una serie di cose interessanti da dire sulla puntata di Vespa, che non riguardano le opinioni, ma i fatti. Prima cosa interessante: ormai non si parla più di giornalisti o di conduttori, ma di ??registi?. Il regista è il principe della trasmissione. Lui conduce, lui ha in mano il destino politico di Berlusconi. La sua inquadratura conta più di un Ponte sullo stretto di Messina realizzato in un mese soltanto. Il regista lo deve rendere meno calvo, meno rugoso, più alto (ma tanto sta seduto), più giovane e più simpatico. Perché tutto questo possa avere un plausibile successo Silvio Berlusconi va inquadrato da lontano. Il più lontano possibile, si potrebbe dire. E nel paradosso c'è come sempre una verità.
Non è la prima volta che Berlusconi va a «Porta a Porta», ma l'altro ieri il nervosismo era maggiore. Soprattutto tra i tecnici. Il lettore forse non sa che tutti gli ospiti di una trasmissione vanno, come si dice in termine tecnico, microfonati. Ti fanno spostare la giacca, ti mettono una scatoletta lampeggiante applicata alla cintura, dietro, che non si vede. Poi ti fanno passare un filo, spesso da dentro la camicia e ti applicano il microfono, piccolo e poco visibile sul bavero della giacca. Peccato però che quel microfono non funziona sempre. Soprattutto nei programmi dove ci sono i dibattiti. ? il regista a renderlo via via attivo, appena qualcuno mostra di voler parlare, o viene interrogato dal conduttore. La cosa è comprensibile: si evita che in una trasmissione possano mettersi tutti a parlare contemporaneamente, con effetti incomprensibili. Quando capita poi, che c'è qualche ospite un po?? troppo fluviale, basta tenere il microfono spento e non inquadrarlo che scompare quasi dalla trasmissione.

Bene, con Berlusconi avviene l'opposto. Se si facesse il minutaggio delle inquadrature dedicate al premier, si scoprirebbe che in video c'era quasi soltanto lui. E che i giornalisti ospiti in studio non sarebbero stati in grado di interromperlo. E forse è stato meglio così. Perché non deve essere stato facile per nessuno dei tre. E soprattutto perché sui tre giornalisti c'è un mistero.

Primo mistero, che obbedisce a un postulato iniziale. Dato che il presidente del Consiglio dei Ministri (e delle Televisioni) è il presidente del Consiglio dei Ministri, non dovrebbero - come accade in tutti i paesi del mondo - essere in studio i direttori dei quattro giornali italiani più diffusi e più autorevoli? Non ci sogniamo che invitino «l'Unità», giornale verso il quale il premier non mostra una spiccata simpatia, ma non sarebbe degno di un ruolo istituzionale, avere là seduti Ezio Mauro, Paolo Mieli, Giulio Anselmi e Ferruccio De Bortoli? Pare di no. L'altro giorno c'erano tre ottimi colleghi. Nell'ordine: Maria Latella, che tra le altre cose ha scritto la biografia di Veronica Berlusconi. Poi c'era Mario Orfeo, che dirige un diffuso e glorioso giornale regionale, «Il Mattino». E infine c'era Augusto Minzolini, cronista spiritoso e intelligente, il maestro del retroscena politico, che lavora alla «Stampa». A parte il fatto che Minzolini è stato chiamato da Berlusconi, «Minzo», e che questo appellativo così intimo e confidenziale non deve aver fatto piacere a un giornalista di una testata come «La Stampa», autorevole e molto sabauda. E forse in quel momento Minzolini si è pentito di essere andato in quella trasmissione. Cosa penseranno d'ora in poi i lettori di un giornalista che il premier, anche in pubblico, chiama «Minzo»?

E che sensazione daranno ai telespettatori dei bravi giornalisti che non riescono neppure a fare la fatidica seconda domanda? Dopo la prima risposta, svicolante e per nulla soddisfacente, o imprecisa, non c'è mai nessuno che riesce a fare a Berlusconi la fatidica seconda domanda. Quella vera. Gli ottimi colleghi pensano di andare in trasmissione, sedersi e parlare in un programma di informazione, e poi si accorgono che è il regista che fa l'informazione, è lui che inquadra Berlusconi, è lui che li tiene fuori limitando la possibilità del contraddittorio. E allora? Allora cosa rimane?
Pensiamoci un attimo. Berlusconi negli ultimi tempi è andato dappertutto.

Si è fatto intervistare da due giornalisti che fanno uno spettacolo di intrattenimento, e che il pubblico identifica come dei ??conduttori?, termine ambiguo: Luca Giurato e Monica Maggioni. Poi si è fatto intervistare da un ex ministro e politico che i telespettatori identificano con tutto tranne che con il giornalismo: Claudio Martelli. Poi si è fatto intervistare da Paolo Bonolis. E giornalista, lo sappiamo bene, Bonolis non è. Poi ha fatto un faccia a faccia con Rutelli, affaticando persino uno come Mentana. Che doveva ricordargli appena gli era possibile che non stava lì per dare solo la parola a uno o all'altro. E infine il «Porta a Porta», con quei giornalisti che paiono invitati a una festa. «Minzo è venuto al cancello della mia villa alle Bermuda, mica potevo lasciarlo fuori». Figuriamoci, era anche in clima di vacanze. No che non poteva. Ma come potevano difendersi i tre giornalisti che stavano là seduti da un comportamento sempre un po?? troppo ammiccante, sempre un po?? troppo confidenziale, sempre un po?? troppo collusivo di Berlusconi? Il modo migliore per togliere peso e autorevolezza all'interlocutore, che non ha la possibilità di tracciare quella linea per terra che dice: di qua, oltre questo, non si passa.

Ed è proprio la linea per terra il punto su cui riflettere. Quella linea che dice: oltre non si va. Oltre c'è un mestiere che non si discute. Invece così non è, invece siamo sempre, come dice un vecchio detto, a pettinare le bambole. Chiacchiere, dati forniti a casaccio, cose che non stanno né in cielo e né in terra ma che nessuno riesce più a contestare, e non per incapacità, ma perché le trasmissioni sono strutturate in modo tale da non lasciare spazio a domande vere. Così nessuno riesce a mettere seriamente in dubbio le affermazioni di Berlusconi: un po?? perché si è stanchi di cercare di arginare uno che toglie il respiro a chiunque, un po?? perché quando stai per parlare non ti inquadra nessuno, un po?? perché a furia di rapporti poco formali si finisce per essere tutti sempre meno credibili.

Forse tutto questo è anche un po?? la conseguenza di un giornalismo di troppi retroscena, e di battute rubate dietro le mantovane e i tendoni della Camera dei Deputati, e quindi è anche un po?? colpa di un certo modo di fare i giornali di questi anni. Ma certo il risultato non piace a nessuno. Non piace che i colleghi non riescano a fare il loro mestiere come lo sanno fare. Ormai ci siamo rassegnati a vedere Berlusconi ovunque ci sia una telecamera accesa. Vorremmo vederlo almeno una volta in difficoltà, vorremmo vederlo una volta, una soltanto, per poco, pochissimo: silenzioso, zitto, incapace di fare una battuta, stupito di una domanda che non si aspetta. Chissà, la speranza è sempre l'ultima a morire.
rcotroneo@unita.it

Letto 589 volte
Notizie Correlate
Audio/Video Correlati
Dalla rete di Articolo 21