di Maria Grazia Mazzola*
La notizia è di destra o di sinistra? E il fatto, in che rapporto sta con la par condicio? Bisognerebbe aprire un caso a «Chi lâ??ha visto» perché stiamo parlando del grande assente dalla Tv e anche da alcuni giornali, distratti o, forse, appisolati. Come giornalista del servizio pubblico ho il dovere di chiedermi in che modo lâ??utente televisivo stia arrivando allâ??appuntamento elettorale.
In che modo, mi chiedo, visto che i fatti (i grandi assenti) non vengono raccontati, soprattutto se la cronaca è legata alla politica. In compenso assistiamo a una valanga di opinioni sbilanciate a favore della destra, come ci ricorda lâ??Osservatorio di Pavia, mentre lâ??Ocse parla dellâ??Italia come di un Paese a sovranità limitata per il grave squilibrio delle televisioni, concetto già da tempo affermato dallâ??Onu, nel suo rapporto sullâ??assetto delle tv italiane; cito testualmente: la concentrazione del controllo dei media nelle mani del Presidente del Consiglio, ha gravemente colpito la libertà di opinione e di espressione in Italia.
In questo momento alla Rai vige un principio supponente: «la notizia la faccio io». Avete mai sentito al Tg1 la notizia della richiesta di arresto del deputato nazionale dellâ??Udc, Di Giandomenico, sindaco di Termoli, per corruzione, associazione per delinquere, concussione, abuso dâ??ufficio, e dellâ??arresto della moglie, medico primario, obiettore di coscienza, accusata, tra lâ??altro, anche di avere fatto aborti clandestini? Lâ??inchiesta della Procura di Larino ha coinvolto numerosi imprenditori ma sulla vicenda, durata due settimane, neanche un servizio. Ho contestato personalmente lâ??omissione della notizia. Non solo. Si arriva a censurare anche la Befana in tv: la mamma che piangeva al microfono perché, cassaintegrata, per la prima volta non avrebbe potuto comprare il regalo alla propria bambina, è saltata dal servizio. Vietato mostrare le nuove povertà . Vietato fare inchieste sulla malasanità in Sicilia, sarebbe imbarazzante, del resto con un Governatore sotto imputazione per favoreggiamento aggravato nei confronti della mafia, che si ricandida, pergiunta. E sulla mafia, tutto si riduce ai malanni prostatici del superlatitante Provenzano, esibito in versione radiografia-cartolina come un souvenir dalla terra dei fichi d india. Solo pochi esempi di una lunga serie. Lâ??assemblea del TG1, in un documento pubblico di alcuni giorni fa, ha ammesso lâ??impossibilità di raccontare la vera Italia. Scusate se è poco. Per sintesi, rimando il lungo elenco di omissioni - dai radiogiornali ai telegiornali - al libro bianco diffuso dallâ??Usigrai, sindacato dei giornalisti Rai.
Chi fa le spese dellâ??assenza del fatto è il cittadino che oggi, più che mai, soffre della sindrome dellâ??abbandono. Chi si occupa più dei suoi problemi? Dalla malasanità ai gravi disservizi negli uffici pubblici, dalla corruzione alla mafia, dallâ??ambiente fino ad arrivare ai mancati diritti delle fasce più deboli come i portatori di handicap, i non udenti, i non vedenti. Per non parlare degli ammalati psichici, che fine fanno nella nostra società ? Chi se ne occupa più? E dei problemi del lavoro, dei numerosi che muoiono per mancanza di sicurezza, dello sfruttamento e della grave crisi economica?
Lâ??Istituto di Ricerca sui Media dice che in Italia, il 62,4% dellâ??informazione va ai politici, il 28,2% alle notizie e il 9,4% ai contenuti, un caso unico rispetto alle altre televisioni europee. Ma anche i giornali a volte omettono le notizie. Come il caso di questi giorni, delle cronache del Presidente del Consiglio in trasferta negli Usa, a furor di popolo applaudito dal Congresso americano. Pochissimi ci hanno raccontato che in realtà i parlamentari americani erano una sessantina su un totale di 535 e che quegli applausi fragorosi in realtà provenivano da stagisti e figuranti. Non ci hanno insegnato che la notizia deve essere completa? E se tale non è, è solo una mezza notizia. Ergo, ci nutriamo di mezze notizie quotidiane? La notizia lâ??ho appresa dallâ??Unita, ecco perché ho deciso di scrivere da queste pagine. Personalmente mi sono avvalsa del contratto nazionale di lavoro più di una volta, ritirando la firma dai servizi in quelle circostanze denominate censure o manipolazioni, pagando un prezzo, come altri colleghi che in questo momento sono in vertenza sindacale o penale perché, in quanto scomodi, hanno visto, allâ??improvviso, annullata la propria storia professionale. Come Santoro, titolare di un giornalismo che ha fatto scuola in Italia e allâ??estero che,dopo numerose rassicurazioni dai vertici aziendali, dopo le sentenze che gli davano ragione, continua a non avere diritto di parola in tv, relegato in una oscura redazione, senza strumenti di lavoro. Non solo. Come gran parte della società civile rimane la grande esclusa dalla tv, i comici e gli artisti come Grillo, Luttazzi, i Guzzanti, Rossi e tanti, tanti altri. Personalmente, per avere mostrato nellâ??inchiesta «La mafia che non spara» - dello scorso gennaio curata per Raitre Report - verità e fatti ineccepibili dei quali nessuno parlava più, sono state sollevate polemiche e attacchi arroganti da certa parte della politica e dellâ??imprenditorìa, senza precedenti, con una trasmissione riparatrice richiesta dalla stessa Rai, con articoli sui quotidiani nazionali per due settimane. Ho trascorso un mese e mezzo a difendere il mio lavoro e a dare spiegazioni, dentro e fuori lâ??Azienda. Per quellâ??inchiesta, a tuttâ??oggi, non ho ricevuto neanche una querela. Nella seconda inchiesta, «Mafia, corruzione, clientela, chi paga il prezzo...?», curata sempre per Raitre, sono arrivate pressioni da certa parte della politica che ho rimandato al mittente perché alcuni esponenti del potere che avevo intervistato a sorpresa, ritenevano che non si possano fare domande in tv senza un preavviso e un accordo preventivo. Ebbene, la messa in onda di quella inchiesta è slittata gradualmente dalla fine di maggio alla fine di giugno, cambiando per ben sei volte, la data della messa in onda.
Nellâ??Italia dei «si sa», nellâ??Italia che fa spallucce, forse è arrivato il tempo per aprire un dibattito e discutere della necessità improrogabile di fissare in Rai delle regole professionali che valgano sempre, perché il servizio pubblico sia di tutti e non di alcuni. Perché non ripartire dai cittadini? Da chi paga il canone e vede ignorati i problemi dai quali è assillato? Perché non prendere atto che câ??è un altra Italia che chiede di essere raccontata? Quella delle coppie di fatto, con i loro problemi, quella delle famiglie che economicamente non arrivano alla fine del mese, dei giovani che, finita lâ??università , sono costretti ad emigrare, quella dei bambini sfruttati e violati nellâ??indifferenza generale, quella delle minoranze, quella dellâ??omosessualità , e non per fare spettacolo, del pensiero critico e pluralista, non del pensiero unico. Ã? possibile cominciare a ragionare su una Rai meritocratica e delle regole professionali, che promuova il prodotto critico e chi lo sa fare, piaccia o no? Una Rai vicina agli standard di televisioni europee come la Bbc, con principi deontologici ineccepibili?
A che tipo di politica può essere ancora funzionale il sistema del giornalista reggimicrofono che si muove in auto con il ministro del governo di turno, alla sua portata di mano? Câ??e una nuova politica e una vecchia politica: interroghiamoci tutti allora, giornalisti e politici. La politica autorevole e al servizio del cittadino, non può ancora oggi avere bisogno dei reggimicrofoni per essere rappresentata, né i giornalisti autorevoli avere la vocazione agli yesmen, facendosi tutelare dai partiti piuttosto che dal sindacato. Perché i fatti e le notizie possano tornare ad essere i protagonisti principali della Tv pubblica e di tutti i giornali, con coraggio.
*inviato speciale del Tg1