Articolo 21 - Editoriali
Le torture in Iraq: un incubo senza fine
di Ferdinando Pellegrini
Ben venga l'ultima denuncia di Amnesty sulle torture dei prigionieri di guerra iracheni, che prigionieri di guerra non sono sempre. Ma da tempo gli abusi si conoscono anche attraverso inchieste di giornalisti coraggiosi e di altrettanti iracheni coraggiosi che sfidano comunque ritorsioni visto che parlano di temi volutamente ignorati dai governi alleati e non. La pratica della tortura e delle sevizie non è certo cosa nuova in guerra come in pace e gli iracheni erano certo tristemente abituati alle violenze di Saddam.
Si sperava solo che una volta "esportata la democrazia" le pratiche inumane avessero termine e che il rispetto per l'essere umano prendesse il sopravvento. Ma così non è stato se Guantanamo è ancora lì, malgrado le richieste di chiusura del mostruoso campo di detenzione, e le denuncie di violenze non si fermano alla famigerata prigione di Abu Graib o di Bagram, e coinvolgono oltre ai carcerieri americani anche quelli di altri paesi, sembra, compreso il nostro, se pur attraverso mercenari ingaggiati dall'industria privata della violenza. Certo, la lotta al terrorismo non è una passeggiata nel tunnel degli orrori di un luna park, ma l'uso che si fa dell'arbitrarietà nel tentativo di ostacolare formazioni armate e pericolose è tanto meno giustificato se al terrorismo si vuole sostituire la convivenza. Ma spesso le conversioni costano più dolore ai convertibili che non la rinuncia alle proprie convinzioni, soprattutto se quelle convinzioni non passano attraverso le bombe o gli attentati ma attraverso diverse strade di crescita ideale o religiosa o persino democratica a seconda della propria visione di democrazia. Sembra che malgrado i dibattiti, le discussioni, le tavole rotonde, le analisi sociopolitiche, questi discorsi siano rimasti solo un esercizio teorico senza possibilità di essere calati in una realtà che si fa più drammatica con l'acuirsi dello scontro. E allora alle torture in carcere si risponde con i sequestri e gli sgozzamenti, agli arresti di massa con gli attentati indiscriminati. Ma così come giustamente si addita ad Osama Bin Laden o ad Al Zarkawi quali portatori di lutti e tragedie, di inumanità , si dovrebbe anche additare a chi? Degli altri tristi prestatori d'opera si conoscono solo i terminali finali, i torturatori materiali, quelli che incappucciano o girano l'interruttore della corrente elettrica. Mancano per così dire, i nomi dei "mandanti", e anche quando si conoscono, non se ne fa menzione nei tribunali che si occupano delle violazioni dei diritti umani.
Si sperava solo che una volta "esportata la democrazia" le pratiche inumane avessero termine e che il rispetto per l'essere umano prendesse il sopravvento. Ma così non è stato se Guantanamo è ancora lì, malgrado le richieste di chiusura del mostruoso campo di detenzione, e le denuncie di violenze non si fermano alla famigerata prigione di Abu Graib o di Bagram, e coinvolgono oltre ai carcerieri americani anche quelli di altri paesi, sembra, compreso il nostro, se pur attraverso mercenari ingaggiati dall'industria privata della violenza. Certo, la lotta al terrorismo non è una passeggiata nel tunnel degli orrori di un luna park, ma l'uso che si fa dell'arbitrarietà nel tentativo di ostacolare formazioni armate e pericolose è tanto meno giustificato se al terrorismo si vuole sostituire la convivenza. Ma spesso le conversioni costano più dolore ai convertibili che non la rinuncia alle proprie convinzioni, soprattutto se quelle convinzioni non passano attraverso le bombe o gli attentati ma attraverso diverse strade di crescita ideale o religiosa o persino democratica a seconda della propria visione di democrazia. Sembra che malgrado i dibattiti, le discussioni, le tavole rotonde, le analisi sociopolitiche, questi discorsi siano rimasti solo un esercizio teorico senza possibilità di essere calati in una realtà che si fa più drammatica con l'acuirsi dello scontro. E allora alle torture in carcere si risponde con i sequestri e gli sgozzamenti, agli arresti di massa con gli attentati indiscriminati. Ma così come giustamente si addita ad Osama Bin Laden o ad Al Zarkawi quali portatori di lutti e tragedie, di inumanità , si dovrebbe anche additare a chi? Degli altri tristi prestatori d'opera si conoscono solo i terminali finali, i torturatori materiali, quelli che incappucciano o girano l'interruttore della corrente elettrica. Mancano per così dire, i nomi dei "mandanti", e anche quando si conoscono, non se ne fa menzione nei tribunali che si occupano delle violazioni dei diritti umani.
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