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Articolo 21 - Editoriali
La mia idea di servizio pubblico
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di Luciana Sbarbati*

Nel 1995, a conclusione del suo decennale mandato alla presidenza della commissione europea, Jacques Delors, autore tra lâ??altro del Libro bianco sulla disoccupazione in Europa, era la grande speranza dei socialisti francesi per la corsa allâ??Eliseo. Il paese attendeva con impazienza di sapere se si sarebbe o meno candidato alla presidenza de â??la Républiqueâ?. Delors spiegò i motivi del suo rifiuto nel telegiornale delle 20.00 della televisione pubblica, nellâ??ora di massimo ascolto.
Un paio di anni dopo il primo ministro neogollista Alain Juppé, delfino di Chirac, fu travolto dalle proteste sociali innescate dalle riforme economiche, iniziate con un lungo sciopero dei camionisti francesi, che in pieno inverno misero in ginocchio la Francia. Juppé scelse France 2, nellâ??ora di punta serale, per spiegare perché il governo non scendesse a patti.
La televisione di servizio pubblico è insomma stata impiegata da uomini politici dalle posizioni più disparate per spiegare le motivazioni di partito, certo, ma soprattutto di governo. Senza mistificazioni, senza lustrini da avanspettacolo, voci di corridoio, rivelazioni e smentite: in assoluta sobrietà ed efficacia.
Questo corrisponde in pieno alla mia idea di televisione al servizio del pubblico.
La recente attualità, dominata dal pessimo comportamento dellâ??esponente leghista Calderoli, offre un esempio particolarmente calzante di quello che intendo dire: sarebbe stata cosa ben fatta se il Presidente del consiglio Berlusconi avesse scelto il mezzo televisivo per illustrare la posizione del governo su una vicenda tanto delicata. Così dovrebbe essere inteso il servizio pubblico, non un abuso ma un uso della televisione, per lâ??informazione corretta dei cittadini, per aiutarli a comprendere a fondo una realtà complessa e variegata come quella di oggi.
Ci ritroviamo invece a fare i conti con esponenti politici â?? sempre gli stessi â?? che invadono senza limiti gli spazi televisivi per intervenire su tutto, relegando la politica ad un fatto privato, a proprio uso e consumo: battibecchi e beghe di partito che sviliscono la vera informazione producendo al contempo una pericolosa perdita di prospettiva, di percezione del contesto politico ed economico globale.
In Italia lâ??informazione non agevola i giovani a capire il presente e quindi il futuro che presto li interesserà, non li aiuta a comprendere le dinamiche e la complessità di un mondo in rapidissima evoluzione, le sue relazioni internazionali, economiche e politiche.
Ad un giovane, oggi, deve poter essere data lâ??opportunità di porsi il mondo come orizzonte: per lavorare o anche solo per sognare di farlo, libero da vincoli di territorio. Il servizio pubblico deve contribuire a liberare queste risorse intellettuali, deve aiutare a capire, per esempio, una realtà europea rappresentata da 420 milioni di cittadini che faticosamente, dopo sessantâ??anni di pace e dopo aver vissuto i due più gravi conflitti della storia recente, si sono messi insieme per formare unâ??unione politica, lâ??Unione europea.
Nella mia attività di parlamentare europeo, impegnata a Strasburgo, osservo con rammarico che sono proprio i giovani italiani i grandi essenti tra le istituzioni e le iniziative europee, coloro che mancano allâ??appello dei programmi e dei progetti che li riguardano. Un vero peccato, perché il confronto e la convivenza continua tra culture e lingue diverse è una straordinaria occasione di crescita: le divergenze, i preconcetti e le divisioni certo esistono, ma vivono allâ??interno di una grande anima comune, europea. 
Di questo scenario stimolante lâ??Italia ne riferisce soltanto quando i nostri ministri sono in viaggio per Bruxelles, oppure perché gli italiani non mangiano più pollo e gli allevatori hanno bisogno di sovvenzioni, per restare ad un tema vicino.
Argomenti sacrosanti, battaglie necessarie, ma che non mettono affatto in luce i valori e le opportunità che lâ??Europa rappresenta.
Eâ?? per questo che la Rai, in quanto servizio pubblico, deve valorizzare le sue risorse e migliorare i contenuti dei suoi programmi e soprattutto dei suoi telegiornali, perché  possano contribuire a stimolare le coscienze e le intelligenze: perché lâ??informazione sia davvero libera e con â??la schiena drittaâ?, come ha ben detto il Presidente Ciampi.
Di libertà di informazione si dibatte anche in ambito più ampio, in questi giorni di violenze compiute in nome dei sentimenti religiosi.
<<Eâ?? un valore che non può essere negoziabile>>, ha chiarito il Presidente della Commissione europea Barroso, puntualizzando che la libertà di stampa è <<un principio essenziale nella nostra società europea, aperta e democratica, perché è impossibile avere un paese libero senza una stampa libera>>.
La Rai, la maggiore azienda culturale italiana, deve farsi promotrice di questi valori, indispensabili alla crescita della nostra società perché capaci di influenzare il tessuto sociale e quindi di migliorarlo.
Basta uno sguardo ai canali internazionali per renderci conto che il mondo gira senza sosta, mentre il nostro orizzonte politico si isterilisce e si avvita spesso su povere questioni. Poi scoppia la bomba e non sappiamo come e perché, scoppiano le guerre intestine in Indonesia e vi spediamo i nostri soldati di pace, si accendono i focolai di violenza in tutto il mondo islamico e noi non grattiamo che la superficie dellâ??informazione, accontentandoci di sapere quel poco che basta ad etichettare gli avvenimenti.
Pochi ricordano, per esempio, che il Pakistan â?? ambiziosa potenza nucleare, unico alleato americano in una regione tradizionalmente ostile agli Stati Uniti â?? paga sulla sua pelle la fedeltà allâ??America del presidente Musharraf che è invisa alla maggioranza musulmana e che è costata, e costa, feroci lotte intestine.
Le stesse lotte egualmente combattute nelle società islamiche attraversate dal verbo di Al Qaeda, impegnato a sovvertire il mondo arabo cosiddetto â??moderatoâ?, il mondo di quei regimi â?? presidenziali o militari che siano â?? che hanno in un modo o nellâ??altro arginato il fenomeno fondamentalista e che sono loro stessi divenuti vittime della follia terroristica.
<<Per il dialogo occorre una vicendevole conoscenza>>, ha insistito ancora di recente il Presidente Ciampi ricordando che i popoli, le culture e le religioni devono dialogare tra loro per conseguire <<il bene comune degli uomini>>, la pace.
Ecco perché il caso Calderoli è per lâ??Italia la prova provata che nellâ??era globale la classica distinzione tra politica interna e politica internazionale è sempre più flebile.
Anzi, direi che è velleitaria.

*Segretario Nazionale del Movimento Repubblicani Europei

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