di Marzia Antenore
La mutazione antropologica di Silvio Berlusconi, da leader ridanciano, pacato, battutista, a candidato iracondo e sguaiato che mette in imbarazzo i suoi stessi alleati di governo, ha trovato il suo apice nellâ??intervento del Premier al Convegno di Confindustria di sabato 18 marzo. Eppure nulla faceva sospettare una trasgressione così violenta : il coup de théâtre dellâ??arrivo nel salone dei congressi dopo un paventato forfait, domande tecniche ma non insidiose poste di fronte ad una platea potenzialmente favorevole, il vantaggio di una replica a Prodi sullâ??Irap, la prima domanda sulle â??giovani impreseâ?. Seduto al suo fianco il Ministro dellâ??economia Giulio Tremonti, alla vigilia indicato come sostituto del Presidente del Consiglio.
Come da questo contesto apparentemente innocuo si sia giunti ad un comizio assordante e in solitaria della durata di quasi dieci minuti durante il quale il Premier si è scagliato contro la stampa italiana, gli imprenditori schierati con la sinistra, le false promesse di Prodi, attaccando personalmente Diego Della Valle seduto in prima fila, sembra materiale più per studiosi della personalità che per analisti della comunicazione politico-elettorale. Potrebbe essere stanchezza da campagna elettorale come garbatamente ipotizzato dal vicepresidente di Confindustria Andrea Pininfarina che dissimula con efficacia lâ??indignazione del vertice confindustriale, oppure una risposta eccentrica ai dolori della lombosciatalgia. Di certo, il discorso del premier sembrava più simile ad un outing che ad un premeditato appello a coloro che egli ha sempre considerato i suoi elettori naturali, il mondo della piccola e media impresa. Probabilmente, Silvio Berlusconi in questo momento si sente in difficoltà ed alla difficoltà egli reagisce, umanamente, attaccando e, altrettanto umanamente, incassando una successione di errori spettacolari.
Detto questo, a distanza di qualche ora appare più interessante soffermarsi su altri aspetti dellâ??episodio vicentino che conferma una cifra distintiva e acutissima di questa campagna elettorale: lâ??evidente â??gracilità â? del giornalismo italiano che sempre più spesso si fa sorprendere dalle sgomitate di una parte politica abituata ad avere campo libero sui media. Nessuno ricorda che per il Convegno della Confindustria, così come per i faccia a faccia elettorali condotti da Clemente Mimun, i tempi di risposta degli ospiti erano stati contingentati: tre minuti e mezzo e poi il moderatore avrebbe dovuto togliere la parola agli ospiti. Proprio mentre tutti attaccano le regole interrogandosi sulla loro compatibilità con lâ??agone televisivo, il Premier ha già â??sforatoâ? di un minuto e mezzo il tempo a disposizione per la risposta. Con il comizio-monologo successivo Berlusconi ha almeno triplicato il tempo consentito, di fronte al comprensibile disagio dei giornalisti presenti. Non occorre tornare molto indietro con la memoria per rintracciare casi limite di lassez faire giornalistico: il dibattito Mussolini, Luxuria, Di Pietro nel salotto di â??Porta a Portaâ? durante il quale si sono sfiorati i limiti della decenza davanti ad un moderatore sordomuto, le domande apparse un poâ?? annacquate nel primo duello elettorale tra Prodi e Berlusconi, la stessa conduzione di Mimun che non interrompe il Premier quando sfora compensando però con i minuti di recupero a Prodi, i tentativi di Lucia Annunziata, molto coraggiosi e un poâ?? maldestri, di zittire lâ??oracolo e riportalo alla domanda. Ed, infine, il consueto attacco di Silvio Berlusconi ai quotidiani nazionali, tutti rossi, tutti comunisti. Persino il Sole24ore, diretto da quel comunista di De Bortoli che gli sedeva di spalle e che non ha replicato perché nel confronto di ieri e di oggi si era impegnato a non fare domande. Eâ?? auspicabile che, se non in questa campagna elettorale almeno nella prossima legislatura, il dibattito sulle regole dellâ??accesso non trascuri di considerare, accanto al freddo scorrere dei secondi, anche la più sostanziale questione dei contenuti preservando così il telespettatore non solo da prolisse declaratorie ma anche da incerte performance giornalistiche, seppure di brevissima durata.