di Federico Orlando
Quandâ??eravamo ragazzi ci colpiva un proverbio popolare del Sud, una preghiera dei pezzenti per i ricchi. Chiedeva a un tal Santâ??Arruffato di dare al ricco la sua protezione contro i rischi della vita, visto che il povero non ne ha bisogno perché abituato a patirli.
Poi, crescendo e leggendo, abbiamo appreso che tale sindrome da tafazzismo cinico era stata indotta nei pezzenti («poveracci», direbbe più magnanimo Berlusconi) dagli intellettuali tridentini, che sulle libertà del Rinascimento stesero per più di due secoli il sudario dei servizi a sua eccellenza illustrissima il padrone. I poveracci, i padroni e gli intellettuali ci sono tornati tuttâ??insieme davanti, via via che leggevamo lâ??accorato appello di tre di costoro al nuovo Santâ??Arruffato, Romano Prodi, affinché aiuti il ricco proprietario di frequenze e se ne freghi di chi non riesce ad averle, e perciò non soffre se continueranno a non dargliene. I tre intellettuali sono lâ??ex comunista e ora teocon Giuliano Ferrara, lâ??ex liberale e ora liberista Sergio Ricossa, già gradevolissimo scrittore di cose economiche nel Giornale di Montanelli, e infine Pietro Ostellino, liberale oggi come ieri quando dirigeva a Torino la Fondazione Einaudi e Biblioteca della libertà .
I nostri tre intellettuali si appellano a Prodi affinché prometta che, se vincerà le elezioni, il suo governo non imporrà a Berlusconi di scegliere fra lâ??attività imprenditoriale nel campo delle frequenze (beni pubblici come lâ??acqua o le miniere) e lâ??impegno politico: ma gli consenta di continuare a muoversi in jure utroque, dimenticando la malversazione che dellâ??uno e dellâ??altro impegno è stato fatto e si sta facendo fino a queste ore di scandalosa violenza. Questâ??ultimo accenno alla malversazione lo facciamo noi, i tre intellettuali nemmeno lo sfiorano, limitandosi a un soave riconoscimento a) dellâ??esistenza del con- flitto dâ??interessi (seppure non del solo Berlusconi), b) dei processi storici (diciamo politici) che hanno consentito allâ??anomalia italiana di realizzarsi e di «non configurare alcuna illegalità », c) dei palliativi come la par condicio che ne hanno corretto parzialmente gli effetti.
Ragionamenti ritenuti sufficienti dai loro autori affinché il centrosinistra non risponda a unâ??anomalia storica con unâ??anomalia giuridica, quale sarebbe il dover scegliere tra imprenditoria e politica, «che dal punto di vista di una società liberale avrebbe un sapore estremamente ambiguo».
Se si possa chiamare società liberale quella che ha un sistema mediatico per il quale lo stesso capo dello stato ha dovuto dare lâ??allarme al parlamento, dovrebbero dirlo il liberista Ricossa (magari dimenticando i suoi candidi innamoramenti per il â??governo Sognoâ? di cui si legge nel libro di Aldo Cazzullo) e il liberale Ostellino, magari ricordando piuttosto la sua intransigenza torinese che non le sue recenti generosità sulle telefonate Unipol-Ds. Ã? da loro che ci attendiamo risposta, visto che ci chiamiamo tutti e tre liberali. Non da Ferrara, che ha teorizzato il primato del â??concretismoâ? politico, cioè dellâ??uso senza remore del potere, e lo persegue per ogni strada praticabile, forzista, teocon e, da ultimo, trattativista. Trattativa di diligenti generali che assumono, non si sa se in assoluta autonomia o col placet del capo, lâ??iniziativa di trattare le condizioni di resa col nemico, evidentemente considerato prossimo a vincere le elezioni del 9 aprile.
Una trattativa che si risolva in un salvacondotto ad personam, come negli Stati assolutisti precedenti allo Stato liberale di diritto. Salvacondotto per non perdere nulla di quel che lâ??attuale presidente del consiglio ha creato e conservato «per cause storiche profonde» ma senza «alcuna illegalità ».
Siccome anche noi, al pari di Ferrara, Ostellino e Ricossa, non siamo nati ieri e sappiamo che la politica non è fatta da angeli per gli angeli e che alle sue leggi tutto può essere piegato, non ci schiereremo con gli oltranzisti del pereat mundus fiat justitia, visto che la giustizia resa a un mondo morto non sarebbe resa a nessuno. Ma quel che potremmo concedere (parliamo per noi) sul piano della ragion politica, per esempio riconoscere la difficoltà di una legge sul conflitto dâ??interessi che coinvolgesse il futuro capo dellâ??opposizione, non accettiamo che sia chiesto e motivato con la ragione culturale, cioè in nome del liberalismo.
Il liberalismo, cari Ricossa e Ostellino, non lo potete immischiare in questa storia dove tutto è, a dir poco, illiberale.
Lo è il monopolio privato della tv commerciale con annesso rastrellamento monopolistico della pubblicità ; lo è la gestione politicamente delittuosa di alcune reti, come si sta protestando (chissà perché solo oggi) da varie parti del centrosinistra; lo è la legge Gasparri che ha consentito a Mediaset di acquisire nuove frequenze dopo aver dribblato la Corte costituzionale che aveva imposto il trasferimento di Rete 4 sul satellite; lo era stata la decisione del parlamento nel 1994 di non applicare allâ??on.
Berlusconi lâ??ineleggibilità per conflitto dâ??interesse, che sarebbe stata applicata allâ??ultimo bagnino di Ostia concessionario del bene pubblico chiamato spiaggia; non è liberale quella che per Mediaset è la vera assicurazione sulla vita, e cioè lâ??esistenza di un monopolio gemello, la Rai, servizio pubblico anchâ??esso unico al mondo per dimensioni e lott i z z a z i o n e .
Che sia difficile toccare Mediaset finché la Rai resta comâ??è, e che sia difficile dimagrire la Rai finché Mediaset resta comâ??è, lo capiamo anche noi, ed è perciò che il duopolio monopolizzatore si sostiene a vicenda, e la falsa guerra che si fanno serve a mascherare la verità agli italiani.
Illiberale anche questo, o no? Comunque, una cosa è riconoscere la difficoltà di toccare la complessiva anomalia italiana, unâ??altra è dire che colpirne una parte «avrebbe un sapore estremamente ambiguo dal punto di vista di una società liberale». Vorrete dire dal punto di vista di una società kazaka o bielorussa, teocon o saudita, ma lasciate in pace Einaudi e Croce, dei quali vi siete nutriti in età lontane e che sono nella vostra biografia. Se è vero che vanno di moda i laici in ginocchio che firmano il manifesto di Pera (tipo Quagliariello e ancora Ricossa), non è obbligatorio nemmeno per loro presentarsi in ginocchio anche di fronte al monopolio televisivo, al conflitto dâ??interessi, al legibus solutus, alla forza che fa la legge. A meno che tutto si tenga, e che perciò la loro altro non sia che coerenza illiberale.