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Articolo 21 - Editoriali
La cruna dell´ago e il regno della tv
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di Giovanni Valentini

� più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio.
(dal Vangelo secondo Marco â?? 10, 25) 
Non sembri blasfemo e neppure irriverente accostare l´ammonimento evangelico alla situazione politica italiana, il regno di Dio al regno della tv, il "ricco" Berlusconi al "cammello" della questione televisiva. Secondo il racconto di Marco, i credenti devono ritenere che difficilmente il leader del centrodestra sia destinato ad andare in Paradiso. Sarà più facile, allora, che la riforma tv passi per la cruna della politica italiana, arrivi cioè a compimento, magari nella prossima legislatura sotto l´egida del centrosinistra. Auguriamocelo tutti, cristiani e non cristiani, in nome della fede comune nella libertà e nella democrazia.
In questi ultimi giorni di campagna elettorale, la questione è tornata inesorabilmente all´ordine del giorno per il semplice motivo che nel caso di Berlusconi s´identifica con la sua politica, è la ragione fondamentale della sua "discesa in campo" e del suo impegno pubblico: vale a dire la difesa e il rafforzamento dei propri affari, della propria azienda privata. Non c´è da meravigliarsi più di tanto, perciò, che il Cavaliere paventi una "minaccia per la democrazia" quando qualcuno si azzarda a parlare del conflitto di interessi e di riforma del sistema televisivo. Quello che in qualsiasi Paese del mondo occidentale sarebbe la norma, e cioè una sana disciplina antitrust e una netta separazione fra pubblico e privato, nell´Italia del Caimano diventa invece un fatto eversivo, un´insurrezione, un attentato alla vita democratica.
Di fronte alla mobilitazione generale delle reti Mediaset, dei suoi telegiornali (tra cui bisogna riconoscere un maggior equilibrio o un minore squilibrio al Tg 5) e soprattutto dei suoi programmi di dis-informazione, fa bene Romano Prodi a declinare gli inviti di Fede o di Mentana, per non accreditare con la sua presenza la loro oggettiva subalternità, la loro partigianeria più o meno dissimulata, il loro goliardico tartufismo. L´assenza del Professore dagli schermi del Biscione comunica più di qualsiasi discorso e sul piano elettorale vale più di qualsiasi comizio. Su quelle reti o su quei tg, il leader dell´Unione non raccoglierebbe un voto di più e non convincerebbe neppure un indeciso.
E come si può dare torto a Massimo D´Alema quando afferma che "la legge sul conflitto di interessi è una necessità del sistema democratico, non una legge pro o contro Berlusconi"? Peccato che nel 2000, un anno prima delle ultime elezioni, lo stesso leader dei Ds sosteneva che "fare oggi una legge sul conflitto di interessi sarebbe liberticida". Ma il peccato più grave è che l´Ulivo, in tutta la precedente legislatura, non abbia potuto o voluto approvarla contro l´ostruzionismo dell´opposizione.
Che cosa autorizza a pensare adesso che il centrosinistra, in caso di vittoria, riesca a fare ciò che non fece allora? Al di là delle belle parole e delle migliori intenzioni, c´è da temere anzi che l´eventuale maggioranza dell´Unione nel prossimo Parlamento â?? per effetto della sciagurata legge elettorale proporzionale â?? sarà talmente esigua da rendere il compito ancora più arduo e improbo. Altro che ostruzionismo, questa volta sull´altro fronte faranno le barricate.
Eppure, nonostante la "guerra preventiva" dichiarata su qualche foglio berlusconiano, nel segno di un malinteso liberalismo, il conflitto di interessi che fa capo al Cavaliere è proprio l´antitesi del liberalismo. Ma converrà ripetere ancora una volta che non riguarda tanto la sua attività di imprenditore o la sua consistenza patrimoniale, quanto il suo "status" particolare di concessionario pubblico, inquilino dell´etere, affittuario delle frequenze, laddove il padrone di casa, il titolare delle medesime frequenze, il legittimo proprietario di un bene collettivo come l´etere è soltanto lo Stato che, come sappiamo tutti, regola e garantisce i diritti individuali.
L´idea che il capo del governo possa intrattenere rapporti d´affari con lo Stato dovrebbe far rabbrividire qualsiasi liberale, liberal-democratico o liberal-socialista che sia. � proprio questo il motivo per cui, a norma della legge del ´57 sulle cause di ineleggibilità, Berlusconi non potrebbe neppure entrare in Parlamento. Solo un artificio, un raggiro, un imbroglio ha consentito finora al padrone di Mediaset ciò che invece non sarebbe consentito al suo rappresentante legale, il presidente Fedele Confalonieri.
Prima ancora del conflitto di interessi, però, c´è da risolvere la questione televisiva. Una questione che precede la "discesa in campo" di Berlusconi e prescinde dal suo impegno politico. Si tratta di regolare l´assetto della televisione in Italia, sia sul fronte pubblico sia sul fronte privato, partendo magari proprio dalla Rai per affrancarla dalla sudditanza al potere e dalla schiavitù dell´audience che ne condiziona la qualità, il ruolo e la funzione. Da qui, dipende anche la possibilità di riequilibrare l´intero sistema dell´informazione, con una migliore distribuzione delle risorse pubblicitarie a favore della stampa e degli altri media.
Su tutta questa materia, finora il silenzio dell´Unione è stato assordante. A parte qualche generico e rispettabile impegno, nel suo programma elettorale rimane il controllo del Parlamento su una holding che assomiglia a un ircocervo, metà servizio pubblico e metà televisione commerciale. E invece proprio dalla Rai bisogna cominciare per varare una riforma di sistema che non punisca nessuno e premi piuttosto il pluralismo dell´informazione e la libera concorrenza. Altrimenti, si continuerà a fornire l´alibi migliore alla concentrazione mediatica di Berlusconi e quindi al suo conflitto di interessi.
* * *
Nell´Italia del regime televisivo, l´articolo 21 della Costituzione è diventato ormai una bandiera: è quello che garantisce appunto la libertà di pensiero e d´informazione, da cui ha preso nome anche la meritoria associazione del parlamentare diessino, Giuseppe Giulietti. Ora un autorevole giurista come Alessandro Pace ha scritto, insieme a Michela Manetti, un volume per il Commentario della Costituzione (Zanichelli editore), interamente dedicato a questo articolo. Ai cultori della materia, e più in generale a tutti i cittadini interessati all´argomento, segnaliamo in particolare i capitoli 7 e 8, in cui il professor Pace tratta la disciplina della radiotelevisione dal 1960 ai giorni nostri.
Ã? un "excursus" storico, rigoroso e illuminante, che ricostruisce tappa per tappa l´occupazione selvaggia dell´etere e poi le controverse vicende legislative che hanno perpetuato l´abusivismo televisivo fino a oggi, dal decreto Berlusconi alla legge Mammì e quindi alla legge Gasparri: "Al momento della sua entrata in vigore â?? nota l´autore a proposito di quest´ultima â?? non c´era una disposizione che potesse pregiudicare o costituire il benché minimo limite (ancorché potenziale) per il gruppo mediatico e finanziario del presidente del Consiglio".
Ma il lavoro di Pace ha anche il pregio di offrire, con la Costituzione e la normativa europea alla mano, una serie di indicazioni utili per una possibile riforma del settore. Se ne consiglia perciò vivamente la lettura anche ai tanti sordomuti dell´Unione.

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