di Ahmad Rafat
Il cinema non è reato e i cineasti non sono criminali. Con queste parole un giovane regista iraniano ha concluso il suo discorso alla prima mondiale dell’ultimo lavoro di Jafar Panahi, il noto regista iraniano che esattamente 10 anni fa a Venezia vinse il Leone d’Oro con “Il Cerchio”. Panahi, arrestato lo scorso mese di marzo, assieme alla moglie, la figlia e 15 collaboratori, è libero dal mese di giugno, ma privato dal passaporto e impossibilitato ad assistere al festival veneziano, dove il suo cortometraggio “La Fisarmonica” ha aperto le Giornate degli Autori. Oggi alla Villa degli Autori al Lido, si discuterà di questo film e più in generale del cinema iraniano e la situazione nel paese degli Ayatollah. Il Lido ospiterà il prossimo 9 settembre, anche una giornata contro la lapidazione, e a sostegno di Sakineh Mohammadi Ashtiani. Sakineh, madre di due figli di 22 e 17 anni è condannata alla lapidazione.
Jafar Panahi doveva essere in questi giorni al Lido, per presenziare alla prima mondiale di un suo cortometraggio girato prima dell’arresto. Le autorità iraniane hanno negato al regista, noto per il suo impegno politico a favore della democrazia, il permesso di recarsi all’estero. Mercoledì pomeriggio, alla prima del film Jafar non c’era. E’ stato letto un suo messaggio. “Quanto a un cineasta non è permesso realizzare i suoi film, significa che pur non essendo chiuso in una cella vaga per una prigione più grande”, scrive Panahi nel suo messaggio diretto al pubblico del festival veneziano. “Sono stato alla Mostra del Cinema di Venezia dieci anni fa con il mio film Il cerchio”, scrive Panahi. Quest'anno, il corto che ho realizzato prima del mio arresto, viene mostrato in questo grande festival”, continua il regista, il quale ricorda che “nonostante sia stato rilasciato, non sono ancora libero di viaggiare fuori dal mio paese e frequentare festival cinematografici. Inoltre, mi è stato ufficialmente proibito di fare film negli ultimi cinque anni”. Per Jafar Panahi “quando a un cineasta non è consentito girare film, è come se fosse la sua mente fosse incarcerata, forse non sarà rinchiuso in una piccola cella, ma continua a vagare in un carcere molto più grande”. “Nei momenti più disperati in carcere, durante il mio sciopero della fame- dice Panahi- mi sono fatto coraggio considerandomi con orgoglio membro di questa comunità, e quindi ho cercato di mantenere la mia dignità professionale e non ho mai vacillato nella mia decisione di rimanere fedele a me stesso e alla mia professione”. “Penso- conclude il suo messaggio- che tutto il sostegno che ho ricevuto sia arrivato da singole persone e organizzazioni che credono fortemente nel cinema e nella libertà d'espressione del cineasta, ed speriamo che un giorno tutti i governi del mondo possano condividere quest'idea”.
Chi, come ha sottolineato Panahi nel suo messaggio, crede fortemente nella libertà d’espressione non può esimersi dal dovere chi per questi ideali sta pagando un prezzo molto caro. Proprio per riaffermare questi ideali, bisogna premere sul governo di Teheran, con tutti gli strumenti a disposizione dei governi, perché Panahi possa riavere il suo passaporto e le autorizzazioni necessari per arrivare al Lido prime dell’11 settembre, la giornata conclusiva del festival. La raccolta di firme annunciata dagli organizzatori delle Giornate degli Autori non basta. Deve intervenire il governo italiano, facendo esplicita richiesta alle autorità della Repubblica Islamica perché sia tolto a Jafar Panahi il divieto di espatrio. Il regista ha più volte annunciato che non intende stabilirsi all’estero. La sua presenza al Lido e la sua partecipazione della 67 Mostra, sarebbe una grande vittoria non solo per gli intellettuali iraniani che si battono contro la censura e per la libertà d’espressione, ma anche una vittoria per chiunque in ogni parte di questo mondo creda fermamente nel diritto di libera manifestazione di pensiero.