di Ahmad Rafat
La 68° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, che inizia il 31 agosto, ospiterà nella giornata conclusiva del 10 settembre, un dibattito sul cinema e i diritti umani, organizzato da Articolo 21 e da Cinecittàluce in collaborazione con Amnesty International, Iniziativa per la Libertà d’Espressione in Iran, e sostenuto dal direttore della Mostra, Marco Muller e dal presidente della Biennale, Paolo Baratta. È il terzo anno consecutivo che Articolo21 e Cinecittà Luce portano al festival veneziano il tema dei diritti umani.
Quest’anno sarà proiettato fuori concorso, in anteprima italiana, “Questo non è un film” dei registi iraniani Jafar Panahi e Mojtaba Mirtahmasb. Jafar Panahi Leone d’Oro a Venezia con “Il Cerchio” nel 2002, è stato arrestato nel marzo 2010 assieme ai suoi collaboratori e ai suoi familiari durante una cena discuteva dei suoi prossimi progetti. Panahi, che ha ottenuto riconoscimenti nei più importante festival internazionali. È stato rilasciato dopo un lungo sciopero della fame nel mese di aprile. A dicembre il Tribunale della Repubblica Islamica lo ha condannato a 6 anni di reclusione e 20 anni di divieto di espatriare, scrivere e girare film e concedere interviste. Oggi Panahi attende il proceso d’appello nella sua casa di Teheran. La casa che è stata trasformata in un set cinematográfico per “Questo non è un film” realizzato con la collaborazione del documentarista Mojtaba Mirtahmasb.
Un atto di coraggio e di sfida di un regista che non vuole rimanere in silenzio. I due registi in una dichiarazione congiunta definiscono questa limitazione della loro libertà d’espressione un investimento da non sottovalutare. “Capire questa contraddizione-scrivono Panahi e Mirtahmasb- ci ha costretti a non sottometterci e a continuare, perchè crediamo che in qualunque parte del mondo ci troveremo dobbiamo affrontare problemi piccoli o grandi, e ciò malgrado consideriamo nostro dovere non perderci d’animo e pensare a nuove soluzioni”.
Panahi nel realizzare questo film, malgrado la condanna e i divieti, dimostra la sua “ volontà di superare le limitazioni che attualmente esistono per il cinema iraniano”. Il noto regista iraniano è convinto checon le attuali possibilità che le nuove tecnologie offrono “se un cineasta non realizza un film, lui e solo lui è il responsabile, perchè lo spirito innovativo dell’arte -prosegue Panahi- non solo facilita il superamento degli ostacoli ma permette all’artista di trasformare con la sua creatività ogni limitazione in un’opera d’arte”.
Non solo l’Iran è al centro delle giornate del 9 e 10 settembre di cinema e diritti umani. Dall’Egitto arriva “Tahrir 2011” opera collettiva di Tamer Ezzat, Ayten Amin e Amr Salama. Della primavera egiziana si occuopa anche il corto “Hadinat al Shams” del regista siriano Ammar al Beik. Il collettivo di cineasta siriani Collectif Abounadara porta a Venezia due film di estrema attualità che riguardano la situazione in Siria. C’è infatti una grande attesa per “The End” e “Vanguards” che dovrebbero farsi conoscere gli aspetti meno noti della lotta alla dittatura di Bashar Assad.
Barbara Cupisti con il suo documentario “Storie di Schiavitù” ci porta a casa nostra costringendoci ad affrontare il problema dell’immigrazione e degli immigrati che spesso cercando il paradiso in Occidente e trovano ad attenderli un inferno. Sempre di immigrazione e di asilo político si ocupa “Out of Teheran “ di Monica Maggioni. Il documentario della giornalista narra le storie di giornalisti e cineasta iraniani costretti ad abbandonare la Repubblica Islamica dell’Iran e a cercare rifugio all’estero.