di Pietro Nardiello
In Italia quel lavoro sudato, non garantito, spesso precario e quasi sempre al nero continua a mietere vittime. La tragedia di Capua, in provincia di Caserta, e le strazianti immagini di rabbia e dolore dei familiari hanno fatto il giro di tutti o quasi i notiziari italiani. Quest’ennesima tragedia è avvenuta mentre i tre operai stavano bonificando una cisterna nello stabilimento di una multinazionale farmaceutica olandese la Dsm spa. E pensare che il più giovane, Vincenzo Musso 43enne di Casoria, non sarebbe dovuto essere lì perché a causa di una lombalgia era rimasto per tre giorni a casa. La telefonata del principale, il giorno precedente, e la possibilità di guadagnare qualcosa in più, una giornata pagata per intero come straordinario, lo ha indotto ad accettare incorrendo, così, nel fatale destino. Il dott Donato Ceglie, della procura di S.Maria C.V. ha immediatamente sottolineato che “quest’ennesima tragedia poteva essere evitata perché, sicuramente, non sono state adottate le misure di sicurezza dovute”. Ma, come sempre, è immediatamente incominciato il rimpallo di responsabilità.
Questa tragedia, però, mi offre l’assist, consentitemi l’utilizzo di una terminologia calcistica, per riportare l’attenzione su come viene interpretato il diritto e la sicurezza al lavoro in questi territori. C’è un caso eclatante e molto significativo di cui, in passato si è occupato anche il TG3 grazie a Santo Della Volpe e di cui vi rimando al link di Repubblica Napoli, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/08/07/diritti-negati-alloperaio-ferito-sul-posto.html, giornale per il quale ho trattato il caso.
La storia è quella di Gennaro Papa, un operaio 44enne di Cellole, sempre in provincia di Caserta, che nel 2003, mentre svolge il proprio turno di lavoro presso l’azienda Silia di Pignataro Maggiore, dove si producono lavatrici e frigoriferi, viene colpito da un carrello elevatore condotto da un so collega. Solo un miracolo gli consente di salvare la vita ma non di evitare le traumatiche conseguenze alle quali dovrà far fronte. Nel frattempo la fabbrica di Pignataro, che adesso conta più di 200 addetti in cassa integrazione, viene acquistata da una nuova società che “invita” Gennaro Papa, che nel frattempo ha perso il suo posto di lavoro, a firmare, per potere essere nuovamente assunto, "una rinuncia a qualsiasi richiesta di risarcimento danni nei confronti dei vecchi e nuovi proprietari". Il signor Gennaro non cede a questo ricatto ottenendo, nel febbraio di quest'anno, una sentenza a lui favorevole emessa dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la quale viene riconosciuto responsabile il datore di lavoro. Da allora, però, oltre alla scontata solidarietà istituzionale, Gennaro Papa, sposato con due figli, non riesce a trovare lavoro vedendosi precluse tutte le possibilità e sbarrate tutte le porte senza ottenere aiuto «nemmeno dal suo sindacato di appartenenza, la Fim Cisl di Caserta».
Questo è il contesto in cui i lavoratori operano quotidianamente in questo territorio, ricattati da tutti e sfruttati in ogni modo. Ma ci ritroviamo in anni in cui parlare di classe operaia appare anacronistico, mentre i cosiddetti padroni chiedono, semplicemente, che in fabbrica ci sia "più affidabilità e più normalità".