di Alessandro Pace
Nel dibattito ad «Otto e mezzo» di martedì 23 maggio il neo Ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni e il Presidente di Mediaset Fedele Confalonieri si sono trovati raramente dâ??accordo tra loro. Hanno invece convenuto su un punto, e cioè che lâ??emittente di servizio pubblico, e cioè la Rai, deve fare â?¦servizio pubblico (il che è ovvio) e che il canone pagato dagli utenti deve servire a finanziare solo i programmi di servizio pubblico (il che è altrettanto esatto).
Da queste due esatte premesse sono però state tratte conseguenze inesatte sia dallâ??uno che dallâ??altro degli intervistati. Da Gentiloni si è affermato che il canone dovrebbe servire a finanziare soltanto «la» rete della Rai che svolgesse una «programmazione» di servizio pubblico in accordo con quanto ritenuto dalla Comunità europea; da Confalonieri si è invece colta la palla al balzo per rilanciare la tesi secondo la quale, poiché il servizio pubblico caratterizzerebbe i singoli «programmi», anche le reti Mediaset potrebbero (a pagamento) irradiare programmi di servizio pubblico.
Al riguardo deve però essere chiarito un equivoco nel quale sembra siano incorsi entrambi. Le istituzioni europee non hanno mai indicato ai singoli Stati cosa debba intendersi per servizio pubblico. Anzi, se da un lato la Commissione ha affermato che la definizione della funzione di servizio pubblico è di competenza degli Stati membri, dallâ??altro il Parlamento europeo ha auspicato che la programmazione delle emittenti di servizio pubblico dovrebbe comprendere un «insieme equilibrato di intrattenimento, cultura, divertimento e informazione».
Il che sta appunto a significare che non sono i singoli programmi a caratterizzare il servizio pubblico ma è la complessiva attività , per le modalità come essa è presentata, ciò che deve distinguere il servizio pubblico dallâ??emittenza commerciale. Del resto la stessa legge Gasparri - non certo tenera nei confronti della Rai - ha statuito che per servizio pubblico generale radiotelevisivo deve intendersi «il pubblico servizio esercitato su concessione nel settore radiotelevisivo mediante la complessiva programmazione, anche non informativa, della società concessionariaâ?¦Â».
Per quanto poi attiene allâ??utilizzazione, da parte della Rai, delle risorse pubbliche, la legge Gasparri, seguendo puntualmente quanto deciso dalla Commissione CE nel 2003, ha vietato alla Rai di «utilizzare, direttamente o indirettamente, i ricavi derivanti dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico generale radiotelevisivo». Ciò però non significa - lo ribadisco ancora una volta - che le risorse pubbliche debbano servire a finanziare solo «certi» programmi, come vorrebbe Confalonieri. Significa invece che le risorse destinate alla programmazione (complessivamente intesa) del servizio pubblico radiotelevisivo non possono servire per lo «sfruttamento commerciale del servizio pubblico o di altre attività commerciali». In altre parole, mentre è legittimo lâ??aiuto di Stato ai fini dellâ??adempimento della missione di servizio pubblico, non è legittimo lâ??aiuto di Stato di cui possano beneficiare attività commerciali estranee a tale missione: aiuto che pertanto turberebbe «le condizioni degli scambi e della concorrenza nella Comunità in misura contraria allâ??interesse comune» (così il Protocollo sulla radiodiffusione pubblica annesso al Trattato di Amsterdam).
Unâ??ultima osservazione. Sono rimasto colpito dal fatto che nellâ??interessante puntata di «Otto e mezzo» si sia parlato di modifiche alle labili norme antitrust della Gasparri e non si sia affatto discusso del doveroso rispetto del principio del pluralismo (al quale sono sensibili le istituzioni europee) che è del tutto negletto nella legge Gasparri. Eppure è proprio da tale principio che, nel settore delle comunicazioni di massa, discende la doverosa conseguenza del divieto (a priori) di posizione dominante, che in paesi più seri del nostro, quanto alla tutela del pluralismo, colpisce lâ??impresa radiotelevisiva o di stampa quandâ??anche non abusi di tale sua posizione.
Sul tema converrà tuttavia ritornare. Il pluralismo dei mezzi di comunicazione costituisce infatti lâ??obiettivo esplicitamente preso in considerazione dal citato Protocollo di Amsterdam sulla radiodiffusione pubblica. Ne consegue che la disciplina dei due settori (privato e pubblico) presenta punti in comune, anche se le modalità per realizzare il pluralismo sono ovviamente ben diverse.