di Federico Fornaro*
Nelle celebrazioni per il sessantesimo anniversario del voto del 2 giugno 1946, rischia di trovare poco spazio unâ??adeguata riflessione sulle conseguenze politiche della scelta di indire il referendum popolare sulla forma dello stato tra Repubblica e Monarchia.
Non era affatto scontato che toccasse direttamente ai cittadini risolvere la questione. Vi era,infatti, lâ??alternativa, assolutamente legittima, di affidare questo compito allâ??Assemblea Costituente.
La decisione assunta dal governo, il 9 marzo 1946, di demandare al referendum popolare la scelta sulla forma istituzionale e di stabilire la contestualità di votazione con quella per la Costituente, fu la traduzione in termini legislativi del compromesso faticosamente raggiunto dai partiti.
In principio la sinistra, comunisti e azionisti in particolare, erano assai diffidenti verso lo strumento referendario intravedendo rischi di condizionamenti negativi sul voto popolare da parte della Chiesa e della stessa Monarchia. Non si dimentichi che lâ??Italia usciva da una guerra e da ventâ??anni di regime fascista, sostanzialmente disabituata al confronto democratico. Tra le masse meno politicizzate,poi, la Monarchia era vissuta come il simbolo della tradizione e del rispetto del passato; un argine nei confronti di possibili esagerazioni parlamentariste. Dal canto loro, i monarchici avevano fortemente sollecitato lâ??opzione popolare, nella speranza, non del tutto infondata, che attraverso una drammatizzazione e una conseguente spaccatura dellâ??opinione pubblica, si sarebbero potuti spostare a loro favore i voti degli elettori della Democrazia Cristiana.
Consci di questo rischio, allâ??interno dei partiti della sinistra si era così fatta strada la convinzione che lâ??Assemblea Costituente fosse il luogo più adatto per garantire il passaggio alla Repubblica.
Allâ??interno della compagine governativa guidata da Alcide De Gasperi, erano i socialisti ad occupare i due ruoli chiave nella prospettiva repubblicana con Pietro Nenni (Vice Presidente e Ministro per la Costituente) e Giuseppe Romita (Ministro dellâ??Interno). Furono proprio loro a schiacciare lâ??acceleratore nella direzione referendaria e a superare le diffidenze e i dubbi presenti nello schieramento progressista.
Nelle sue memorie il ministro Romita si attribuisce il merito di aver tenuto duro per il referendum, nella convinzione che â??la repubblica non poteva nascere nel chiuso dellâ??Assemblea dove rischiava di essere oggetto di mercanteggiamenti parlamentari. E in più proprio perché da parte dei monarchici si voleva il referendum, la repubblica non poteva nascere rifiutando di battersi. Si doveva osare, Nenni capì e mi appoggiò per la scelta popolare diretta. I fatti ci diedero ragioneâ?.
Effettivamente i socialisti riuscirono a portare, non senza resistenze e difficoltà anche il Pci sulle loro posizioni. â??Il risultato del referendum, del resto, non sarà dubbioâ? â?? dirà Togliatti nel febbraio 1946 â?? â??la monarchia è già giudicata dal popolo ed il referendum non potrebbe che sancire questo giudizioâ?.
Lâ??esito del referendum del 2 giugno diede effettivamente ragione al coraggio della sinistra, sebbene il distacco risultò essere inferiore alle previsioni e restituisse una geografia politica di un Paese pericolosamente diviso tra un Nord repubblicano e un Sud monarchico.
Anche in una prospettiva di lungo periodo lâ??opzione referendaria si rivelò lungimirante, perché più nessuno, anche nelle fasi di maggiore scontro parlamentare, pensò di rimettere in discussione la Repubblica in chiave conservatrice e anticomunista.
Se la sinistra e i socialisti, che ottennero, a sorpresa, grazie alla loro coerenza repubblicana un numero di consensi maggiori dei comunisti, furono i vincitori morali del Referendum, chi trasse maggiori vantaggi dal voto fu Alcide De Gasperi e non soltanto perché la Dc risultò essere il primo partito italiano con il 35% dei consensi. Infatti, il leader democristiano, dimostrando una straordinaria abilità tattica interna e nei confronti della gerarchia cattolica, riuscì a superare brillantemente lâ??ostacolo della scelta istituzionale proprio grazie allo strumento del referendum, lasciando libertà di voto ai propri elettori.
Se si fosse demandata la scelta istituzione allâ??Assemblea Costituente, difficilmente De Gasperi avrebbe potuto evitare una rottura traumatica nella Dc tra lâ??anima repubblicana e quella monarchica, con la possibile la nascita di un secondo partito cattolico di stampo conservatore.
In definitiva il referendum non determinò solamente il definitivo abbandono della tradizione monarchica. Quella opzione produsse un effetto anche sui destini della sinistra italiana che scelse, per senso di responsabilità e maturità democratica, la difesa dellâ??interesse generale ai possibili vantaggi tattici (e non certo trascurabili se si pensa allâ??andamento del secondo dopoguerra), che gli sarebbero potuti derivare da una possibile divisione tra le file democristiane: un merito storico della sinistra di governo che sono in pochi, ingiustamente, a ricordare.
*da â??Il Riformistaâ? â?? 2 giugno 2006