di Luigi Mattucci
Potrebbe sorprendere che in questi giorni i quotidiani si dimostrino interessati alla questione delle "frequenze tv trasfrontaliere": di quelle frequenze cioè che dovrebbero consentire , in Europa , un' ordinata diffusione dei programmi televisivi , almeno nelle zone di confine tra nazione e nazione. Problema reso urgente e acuto dal passaggio , prossimo venturo, dalla tecnologia analogica alla tecnologia digitale nella distribuzione verso le nostre case dei segnali televisivi terrestri che costituiscono tuttora la forma prevalente di trasmissione di quella che chiamiamo " la televisione".
Si tratta di un argomento molto complicato , reso tale da alcuni fattori eminentemente "tecnici" ( la destinazione delle bande di frequenza ai vari servizi di comunicazione , i diversi sistemi di utilizzazione/ modulazione delle frequenze per trasmettere i segnali , la progressiva riduzione , per "compressione" , dello spazio necessario a trasmettere un singolo programma ) ma anche dal grandissimo numero di soluzioni che si possono trovare a un problema nel quale le "variabili" ( la combinazione , appunto , tra frequenze , territori e reti ) sono già di per se molto elevate .
Sembrerebbe allora ragionevole che un governo potesse scegliere, tra le molte soluzioni possibili, quella che consente di dotare il paese di un sistema tecnicamente avanzato, equilibrato nella assegnazione delle frequenze ai vari competitori esistenti, favorevole agli sviluppi tecnologici e alla introduzione dei nuovi servizi , aperto nell'accesso alle risorse e nella competizione per l'audience.
Ed invece ci troviamo in una situazione in cui imprese televisive e di telecomunicazioni , partiti politici , gruppi editoriali giocano in prima persona e ciascuna nel proprio interesse il " risiko" delle frequenze , convinti che attraverso un' abile combinazione di alleanze, fatti compiuti e interventi lobbistici, sia possibile - come è finora avvenuto in Italia - condizionare gli esiti di una partita che dovrebbe invece essere giocata nel rispetto di regole condivise, basate su una armonizzazione tra interessi particolari ( attuali e potenziali) e interessi complessivi che favorisca la crescita complessiva del nostro sistema della comunicazione che è uno degli elementi decisivi della modernizzazione dell'intero paese.
La difesa degli interessi di parte viene così operata attraverso la introduzione , nella definizione dei problemi da risolvere , di una serie di "quasi verità " ( quando non di vere e proprie bugie) che tendono a rendere inefficace non solo la ricerca di una soluzione ragionevole ma addirittura ogni intervento di possibile razionalizzazione.
La prima "quasi verità "è , naturalmente , quella che attiene al diritto di "proprietà " delle frequenze da parte degli operatori televisivi . Si tratta , come si sa , di beni demaniali dal valore tecnico ed economico in continua evoluzione che solo il susseguirsi di una serie di interventi " protettivi " interessati ha potuto trasferire alla proprietà di singole imprese. E' quindi prioritariamente necessario che lo Stato, attraverso modalità che non intacchino irrimediabilmente i requisiti patrimoniali e operativi delle imprese che attualmente ne rivendicano il possesso , riacquisisca il diritto di utilizzazione e di attribuzione di un bene che è prezioso e collettivo .Solo successivamente a questa rivendicazione sarà possibile destinare le frequenze ai vari servizi e ai diversi operatori attraverso i meccanismi della concessione e imponendo il principio della separazione tra attività di produzione dei contenuti e attività di distribuzione , per favorire il rispetto del più ampio e aperto pluralismo .
Una seconda "quasi verità " che circola in questi giorni è quella della distinzione tra "frequenze analogiche" e "frequenze digitali".Gioverà ripetere che questa distinzione non esiste e che le frequenze sono le stesse , utilizzabili o per trasmettere segnali analogici o segnali (molti di più) digitali.Continuare a parlare di due sistemi differenti e distinti vuol dire da un lato ipotizzare - a vantaggio dei "newcomers"- la totale disponibilità di un nuovo mercato che invece è già largamente occupato e condizionato dagli operatori "analogici" ; e dall'altro lato consentire a questi ultimi di ampliare ulteriormente il loro cospicuo patrimonio di frequenze , aggiungendo a quelle che già utilizzano per la televisione analogica anche quelle che vengono dichiarate indispensabili per avviare il nuovo sistema di diffusione digitale . Va da sè che per rafforzare questa pretesa necessità è stato anche funzionale stabilire , come la legge Gasparri ha puntualmente fatto ( inspiegabilmente accompagnata da corifei sardi di centro-sinistra) , termini molto ravvicinati al cosidetto switch-off : termini peraltro continuamente smentiti e protratti ,con sprezzo del senso del ridicolo da parte di amministratori locali , rappresentanti governativi, componenti societari di vario tipo.
La terza "quasi verità " che circola in questi giorni è quella relativa alla definizione della cosidetta "capacità trasmissiva". Si tratterebbe di calcolare per ogni soggetto che opera nel settore della comunicazione la quantità di spettro di frequenze pregiate che esso utilizza : ritenendo pregiate le frequenze "scarse " e cioè quelle destinate alla diffusione televisiva terrestre , luogo della maggiore concentrazione dell'ascolto e delle conseguenti risorse economiche , luogo - quindi- che necessita dei più forti interventi contro le concentrazioni e a favore dell'apertura del mercato.
Qui ci troviamo, almeno per quello che penso io, a un classico caso di potenziale " eterogenesi dei fini" : volendo cioè intervenire in modo incisivo contro una specifica ed effettiva situazione squilibrata e pericolosa ( la concentrazione delle frequenze terrestri in mano a Rai e Mediaset ) si rischia di distrarre l'attenzione e gli interventi regolativi da altre e ben più gravi concentrazioni ( di carattere tecnologico ed economico) che possono e sempre più potranno verificarsi sull'intero sistema della comunicazione elettronica.
Infatti , proprio come conseguenza del passaggio alla digitalizzazione dei segnali, non esiste più la corrispondenza biunivoca tra modalità della distribuzione e caratteristiche del servizio realizzato e offerto . Mediaset utilizza il digitale terrestre per fare pay-per-view. La televisione generalista, a sua volta , può essere distribuita via cavo ( Telecom, via ADSL) , via satellite o sui telefonini.Diventa decisivo il controllo monopolistico dei prodotti /diritti da offrire agli utenti ( cfr. Campionati del mondo di calcio).
Ne consegue non soltanto che il controllo sulle cosidette frequenze terrestri pregiate non riesce a limitare , di per sè , la concentrazione delle risorse economiche assorbite da un singolo soggetto nello specifico mercato della tv generalista , ma che si viene a favorire in questo modo la nascita di soggetti trasversali che possono agire in modo incontrollato ( e tecnicamente incontrollabile : non tutto può essere ridotto a capacità trasmissiva! ) sull'intero scacchiere della telecomunicazione. Tenderebbero dunque ad emergere i soggetti dotati di maggiore potenza economico-finanziaria con evidenti squilibri tra imprese provenienti dal mercato televisivo e imprese che si sono irrobustite in quello delle telecomunicazioni.
Un'ultima osservazione su un elemento che oggi viene considerato "superato" come fattore potenziale di concentrazione : quello delle reti televisive possedute da un unico soggetto. Infatti , è vero che il passaggio ( quando?) dalla distribuzione analogica a quella digitale dovrebbe rendere relativamente meno ristretto il numero di soggetti che operano sul mercato della tv generalista; così come è (più o meno) vero l'argomento che il dottor Confalonieri non si stanca di ripetere , che in tutti i mercati europei i due soggetti più forti che si affermano sul mercato televisivo generalista raccolgono oltre il 70% delle risorse disponibili . Ma quello che non si dice è che in nessun paese i primi due soggetti che operano in posizione dominante controllano tre, dicasi tre, reti televisive ( al massimo due , come la BBC, la tv pubblica francese, la tedesca ARD ) e, sopratutto che ,in nessun paese ,essi assorbono oltre l'80% delle risorse pubblicitarie televisive e oltre il 50% delle risorse pubblicitarie complessive del paese.
Il problema della regolazione del mercato televisivo , in una fase di forte integrazione tra tecnologie , prodotti , modalità di offerta e finanziamento va quindi affrontato e reimpostato con una visione unitaria che ponga in evidenza le maggiori esigenze e combatta i rischi maggiori.
Le esigenze di un paese moderno che non voglia accettare una posizione di retroguardia in materia di immaginario e di produzione culturale, informativa e tecnico-scientifica sono quelle della presenza di un sufficiente ( non due o tre) numero di grandi imprese multimediali capaci di operare per dimensioni e creatività a livello del mercato globale .Tra queste imprese "globali" è necessario , sulla base di una tradizione e di una modalità generalizzata a livello europeo , che operi una azienda di servizio pubblico che assicuri al sistema nazionale una componente di imparzialità e di pluralismo ,di ricerca e promozione culturale, di attenzione alle minoranze ,almeno fino a quando questi fattori non vengano assicurati dalla libera competizione di mercato.
La nascita e la crescita di queste imprese ,tuttavia , andrà regolata in modo che non si formino posizioni dominanti nei singoli mercati e sul mercato complessivo della comunicazione.
Da questo punto di vista dovranno essere definiti meccanismi di controllo e regolazione ( di dimensione economico-finanziaria , di utilizzazione delle tecnologie, di incrocio tra i mercati , di accesso ai prodotti e alle risorse) che è illusorio ed inefficace affidare a una regolazione rigida e definita una volta per tutte. La evoluzione delle tecnologie, la capacità creativa e imprenditoriale,la stessa mobilità e variabilità della domanda di immaginario non consentono infatti di intervenire per tempo su situazioni che tendono di per se a sottrarsi alla prevedibilità e alla ripetitività .
Fattori tecnologici, fattori economico finanziari, diritti di esclusiva , operatività all'interno di specifici mercati o su mercati integrati andranno quindi regolati sulla base di principi generali affidati per l'esecuzione ad un ' unica authority capace di agire con prontezza e efficacia su tutti gli elementi significativi e via via rilevanti, così come riesce a fare, con eccellenti risultati di realismo e modernità , la Federal Commission negli Stati Uniti.
Pretendere di inventarsi oggi panacee universali per domani , scoprire nelle aule universitarie gli "elisir" capaci di risolvere tutte le contraddizioni e di conciliare tutti gli interessi , può essere un interessante ed elegante esercizio intellettuale: che apre la strada però a rapide obsolescenze e a interpretazioni capziose , a iniziative spericolate e inaspettate ( Mediaset e il digitale terrestre!) e a frustranti inseguimenti. C'è il rischio insomma che la superbia intellettuale ( e regolatoria) finisca, ancora un volta, di aprire al strada alla legge del più forte ed alla sostanziale conservazione degli attuali squilibri del nostro mercato.