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Articolo 21 - Editoriali
Il caso di Oliviero Beha, oscurato dalla Rai
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di Fabio Rosati

da Liberazione

Morta e sepolta la libertà d'informazione

Trenta anni di professione e l'etichetta di giornalista scomodo. Oliviero Beha, defenestrato dalla "poltrona" di vicedirettore di Raisport per motivi poco comprensibili alle persone di buona volontà e di senso avveduto, non è tipo da arrendersi facilmente. Ne vale la credibilità della professione, di chi la esercita, la trasparenza del proprio lavoro connotato da un rapporto diretto con l'utente telespettatore o radioascoltatore. I fatti così oscuri che segnano la vita di casa Rai, accompagnati da logiche nepotiste a dir poco deplorevoli, hanno imposto addirittura la chiusura dal venerdì che precede l'inizio degli Europei di calcio, di "Radioacolori", trasmissione radiofonica in onda su Raiuno dalle 12, 30 alle 13. Di chi è la trasmissione? Di Oliviero Beha, naturalmente. I dati di ascolto non soltanto dicono che "Radioacolori" fa decollare il primo canale radiofonico della Rai, ma anche che quella mezz'ora di denuncia costituisce uno dei pochi appuntamenti del palinsesto di viale Mazzini veramente al servizio del cittadino, per il cittadino, a sostegno del cittadino. Ovvio che chi la conduce si sia rivelato spesso e volentieri personaggio assai scomodo. E pensare che lo scorso anno, la commissione di Vigilanza all'unanimità si era espressa a favore di "Radioacolori", così tanto da far strappare a Beha per il periodo estivo cinque "miseri" minuti di "sportello" radiofonico. Oggi tutto questo viene azzerato.
Non più vicedirettore di Raisport, con "Radioacolori" spenta per decreto, la vicenda di Beha è assai emblematica di quanto accada nei corridoi di viale Mazzini e di Saxa Rubra. E allora, la domanda più che legittima è: che spazio ha oggi la libera informazione? E che cosa significa libera informazione? E poi ancora: un giornalista "scomodo" che margini di manovra ha in casa Rai e altrove? Ieri sulla scrivania di Beha è giunta una lettera di diffida proveniente dalla direzione generale, nella quale in sostanza si intima al nostro di non rilasciare interviste a nessuno. Un altro bavaglio alla libertà di informazione. O comunque, all'informazione tout court.
Che cosa farà Beha adesso? Siamo certi che non si metterà a braccia conserte ad attendere. Chi lo conosce è pronto a scommettere che fin da subito, il neo (?) caporedattore che già negli anni 70 denunciò gli scandali legati al doping e all'emotrasfusione, darà battaglia per riconquistare quegli spazi che non sono suoi, ma di tutti. Sulla cancellazione di "Radioacolori", così si è espresso ieri l'altro il sindacato Usigrai: «La Rai non ci fa una gran figura. Le trasmissioni di servizio dovrebbero continuare a costituire un tratto distintivo del servizio pubblico anche d'estate. Per di più, questo no a Beha arriva subito dopo le polemiche delle quali è stato coprotagonista per la sua richiesta di trasparenza della programmazione Rai. Il servizio pubblico non si può permettere risposte che assomigliano tanto ad uno stizzito calcio negli stinchi».

Inchieste a raffica

Per la cronaca, Beha a dicembre chiese chiarezza alla direzione di viale Mazzini in merito a quanto stava avvenendo a Raisport. E' bastato porre la domanda e avanzare una minima richiesta di trasparenza, ed ecco che lo hanno fatto fuori. Ma Beha è anche quello che quando il premier Silvio Berlusconi fece irruzione alla Domenica Sportiva perorando la causa delle tre punte, non ci pensò un istante ad andare dal direttore di Raisport Fabrizio Maffei e dirgli che forse si era esagerato, che un servizio pubblico non fa così. E chi non ricorda la sua denuncia sulla pubblicità occulta? Ma c'è dell'altro, perché Beha, nella sua trentennale carriera, è stato anche il giornalista delle inchieste sul calcio scommesse anni 80 e chissà se è soltanto casualità che venga messo da parte proprio adesso che un altro scandalo pallonaro è salito alla ribalta. E chi non ricorda la denuncia per una presunta combine tra Italia e Camerun ai Mondiali spagnoli del 1982? Davvero un bel coraggio in un momento in cui tutto il Belpaese ancora festeggiava i trionfi del Bernabeu.
Vogliamo utilizzare una metafora? Pensiamo di non sbagliarci se diciamo di poter parlare a proposito del "nostro", di un organo trapiantato in un corpo malato. E spingiamoci anche oltre: Beha, o chi crede ancora nel giornalismo libero, può essere a ragione considerato il fegato sano nel corpo Rai.
I paradossi tutti interni alla Rai vogliono che Beha sia stato "retrocesso" dalla carica di vicedirettore (è stato assunto con questa qualifica nell'estate del 2002) senza nessun motivo esplicitato dalla direzione di viale Mazzini, se non quello della scadenza temporale dei diciotto mesi come previsto dalla formula contrattuale. Davvero singolare, visto che è la prima volta che in Rai la burocrazia temporale viene ossequiata con tanta precisione. Probabilmente, il motivo vero è che Beha si è sempre confermato personaggio al di sopra delle parti, oggi scomodo a sinistra, domani scomodo a destra. In ogni caso scomodo e ingombrante. Allora, meglio farlo fuori avranno pensato i vertici di Saxa Rubra. E il pensiero corre ad Anna La Rosa, altra giornalista, altro modo di intendere la professione, inquisita nell'inchiesta di Potenza, ma saldamente al suo posto in casa Rai.

Il cronista d'assalto

Schiacciata dalla politica e dai potentati economici, il cronista d'"assalto" che usa il cervello non ha più spazio né in Rai, né altrove. Di Beha hanno detto che fosse in quota alla sinistra, quindi alla Lega, poi ad An. Lui ha sempre smentito queste etichette, sostenendo, e dimostrando con i fatti, di essere in sostanza in quota a se stesso e alla sua professione e professionalità. E oggi, ammesso pure che abbia intenzione di lasciare la Rai, non troverebbe vita facile in altri lidi. Non in Mediaset, ovviamente, non a La7, il cui editore non soltanto è azionista del Corsera, ma anche proprietario della Telecom. Colosso che "Radioacolori" ha più volte demolito. Chissà che certe volte non convenga cambiare mestiere.

 

 


 


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