di Roberto Zaccaria
Le cronache riferiscono che lâ??Autorità delle comunicazioni allâ??unanimità ha accertato, in questi giorni, che esistono tutte le condizioni di mercato richieste dalla legge Gasparri per ritenere avviato il digitale terrestre. Con espressione incisiva, anche se poco elegante, qualche commentatore ha tratto delle sintetiche conclusioni: «il digitale terrestre non è quindi una bufala». Muovendoci sulla stessa lunghezza dâ??onda vorremmo subito precisare che nessuno ha mai considerato una â??bufalaâ? il digitale terrestre in quanto tale, ma solo il modo in cui la legge Gasparri lo ha disciplinato in chiave di pallido surrogato di un pluralismo dellâ??informazione che la stessa legge ha intenzionalmente e sistematicamente contribuito a distruggere. Intorno al digitale terrestre si è costruita una gigantesca sceneggiata, alla quale il legislatore ha dato una mano cospicua, diretta a far credere che il pluralismo virtuale di questo nuovo mercato avrebbe potuto sostituire il pluralismo vero che invece manca e clamorosamente, come tutti possono toccare con mano ed ogni giorno verificare sui propri televisori. Tutta lâ??impalcatura della legge si basa dunque su questa sceneggiata: far credere invece che esista un nuovo mercato digitale creato da nuovi canali, dai nuovi decoder e da nuovi programmi che nessuno vede naturalmente ma che dovrebbero â??tranquillizzarciâ? sul grado di pluralismo esistente in Italia. Come notaio di questa incredibile vicenda il legislatore ha voluto scegliere lâ??Autorità delle comunicazioni e le ha dato un compito ben preciso, scandito dalla legge con assoluta precisione: non una parola di più, non una parola di meno. «Entro il 30 aprile 2004, accertare contestualmente, anche tenendo in conto delle tendenze in atto nel mercato: a) la quota di popolazione coperta dalle nuove reti digitali terrestri che non deve comunque essere inferiore al 50 per cento; b) la presenza sul mercato nazionale di decoder a prezzi accessibili; c) lâ??effettiva offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche ». Se si nota bene tutti gli elementi richiesti riguardano solo il lato dellâ??offerta, nessun tipo di indagine si è chiesto invece di condurre sul lato della domanda, nessuna richiesta per verificare invece il grado effettivo di interesse verso questo nuovo mercato, per accertare il numero di decoder digitali presenti non nei negozi dei rivenditori italiani, ma in concreto nelle case delle famiglie italiane e in grado di ricevere quindi i nuovi programmi. In genere un mercato esiste solo se esistono contemporaneamente i due fattori decisivi della domanda e dellâ??offerta. Ad esempio il mercato satellitare digitale è stato per lunghi anni in Italia ritenuto non adeguato, non sufficiente dalla stessa Autorità (e quindi inidoneo a ricevere le trasmissioni di Rete 4) pur in presenza di oltre cinqucento programmi trasmessi e di oltre sei milioni di parabole presso le famiglie italiane. Oggi nella lunga e dettagliatissima relazione dellâ??Autorità si certifica lâ??esistenza dei requisiti chiesti dalla legge, si parla di copertura «teorica » del territorio (75 per cento), si descrivono un numero adeguato di decoder in vendita nei negozi italiani (70 per cento dei negozi), molti dei quali invenduti nonostante lâ??«incentivazione» prevista nella legge finanziaria, si parla dei nuovi («ben otto») programmi trasmessi in tecnica digitale, ma naturalmente neppure una stima, un accenno, unâ??ipotesi al numero delle famiglie italiane «interessate » dal nuovo mercato. Certo questâ??ultimo adempimento non era dovuto, ma neppure vietato diciamolo con franchezza. Laddove la legge parlava di tendenze in atto delmercato si sarebbe potuto dire che i decoder effettivamente venduti risultavano 100 mila, 200 mila o forse addirittura 500 mila alla fine dellâ??anno. Sarebbe stato utile per capire la rilevanza del pluralismo digitale. E invece nulla. Sarebbe mancata lâ??unanimità per questo atto di insubordinazione al legislatore. Ed allora lâ??Autorità si è dovuta limitare a due significativi accenni al termine della relazione. Il primo: «Un giudizio positivo in ordine al superamento delle tradizionali strozzature tecniche ed economiche del sistema televisivo italiano non può prescindere dallo sviluppo significativo della domanda, in grado di rendere effettiva la diffusione del digitale terrestre». Il secondo: Sono necessari ancora numerosi interventi «affinché l'avvio promettente della televisione digitale terrestre si tramuti in un reale cambiamento del grado di concorrenzialità del mercato televisivo ed in un effettivo ampliamento del pluralismo culturale, politico ed informativo ». Che valore hanno queste lacrime finali. Temo nessuno. Prima di chiudere, sempre a proposito dellâ??Autorità , vorrei sapere quali sono invece gli interventi che vengono compiuti per sorvegliare in piena campagna elettorale lâ??uso degli spazi televisivi da parte delle diverse forze politiche. Siamo vicini ai due terzi della campagna elettorale. Europa ha riportato i risultati di un'indagine sulle presenze politiche nei tg Rai eMediaset dal 3 al 25 maggio con un risultato (televisivo sia ben chiaro) del 46 per cento a favore di Forza Italia e del 68 per cento (sempre televisivo) a favore del centro destra. Nei giorni passati è stato presentato anche un ricorso su temi analoghi. Saremmo curiosi di conoscere le valutazioni tempestive dellâ??Autorità su questi ricorsi, su questi esposti e anche (perchè no?) sulle indagini condotte dâ??ufficio da chi deve garantire i cittadini. Anche qui è in ballo una competenza fissata dal legislatore, anche se da un altro legislatore. Nel caso che ci fossero delle inadempienze alle regole poste dai principi pluralistici e di par condicio in campagna elettorale, sarebbe bene che gli interventi di riequilibrio non arrivassero troppo tardi dopo la fine della campagna elettorale. Qualcuno potrebbe maliziosamente pensare a due pesi o a due misure, in materia di pluralismi. Ameno che lâ??Autorità non abbia già pensato di riequilibrare i tempi in occasione della campagna elettorale del 2006. Forse, pensandoci, potrebbe andar bene lo stesso e forse anche meglio.