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Articolo 21 - Editoriali
Unabpmber, chi se ne occupa sulla stampa viene perquisito
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di Ugo Dinello

Dodici anni libero di mutilare le persone: vecchi, donne e bambini. Dodici anni con un territorio in cui vivono milioni di persone ostaggio dei suoi capricci. Nella storia del crimine il caso Unabomber, il bombarolo che tra Veneto e Friuli sta seminando il terrore con attentati che hanno mietuto decine di vittime, con bambini che hanno perso la vista o una mano, ha veramente dell'incredibile. La totale mancanza di una risposta da parte dello Stato ha sĂŹ lasciato libero il campo a sceriffi improvvisati che hanno offerto taglie, ma soprattutto ha lasciato il campo aperto alla rassegnazione al â??tanto non si può far nullaâ?, ai â??non lo prenderanno maiâ?.

Poi, dopo 12 anni, l'opera silenziosa di un gruppo di investigatori ha portato alla prima, autentica traccia, la prima prova scientifica in grado di inchiodare un sospettato dopo anni di sole illazioni e dei famigerati â??profili psicologiciâ?: un paio di forbici trovate a casa di un sospetto che l'intuizione di un ex poliziotto hanno rivelato essere le uniche, senza alcuna ombra di dubbio scientifico, in grado di aver tagliato il microlamierino usato per confezionare una bomba.

Intuizione confermata dal laboratorio del Ris dei carabinieri. Una prova, la prima. Una prova lasciata sul tavolo della procura mentre si avvicinavano â?? mancava meno di un mese â?? i termini per l'archiviazione del caso. E' questo che mi ha spinto a scrivere, lo scorso 27 agosto, che non era vero che Unabomber era ancora il mostro inafferrabile, il pazzo senza volto che non commetteva errori, il terrorista in grado di farsi beffe della pietĂ  e dello Stato. Una scelta ponderata, prima di tutto con mia moglie, pensando se quelle trappole esplosive fossero capitate in mano ai miei figli, e poi con i colleghi, verificando minuziosamente la bontĂ  della notizia: un paio di forbici incastrava Unabomber grazie al lavoro di squadra di un gruppo di agenti e carabinieri che non si era mai arreso. 

Ma c'è qualcosa che ha avvelenato la democrazia qui a Nordest. Qualcosa che ha spinto all'emissione di quattro ordinanze di perquisizione e sequestro in pochi mesi nei confronti dei quotidiani del gruppo l'Espresso. Qualcosa che fa vedere i giornalisti e il diritto dovere all'informazione come il nemico.  Non davanti a casa di Unabomber, quindi, ma davanti a casa mia si sono presentati ieri carabinieri e polizia con un ordine di perquisizione firmato direttamente dal procuratore della Repubblica. Gentilissimi ma ferrei, hanno controllato, aperto, visitato e sequestrato. E dopo casa mia, in redazione. Anche qui il sequestro dei miei appunti, l'apertura del mio computer, il sequestro anche del mio indirizzario di posta elettronica, tutti i miei telefoni sotto controllo. Sarebbe facile chiedere conto dei risultati ottenuti finora, di quello zero assoluto da sbattere in faccia a quei magistrati che hanno voluto brandire il codice non contro un indagato, perchĂŠ almeno la decenza ha finora evitato che venissi dichiarato indagato, ma contro uno dei giornalisti che ogni giorno fanno il loro dovere senza sconti: trovando, verificando e pubblicando qualsiasi notizia, comoda o scomoda che sia.

Alla fine resta solo l'amarezza per vari motivi. Per l'attacco che alcuni magistrati stanno portando alla libertĂ  di tutti i cittadini di essere informati senza censure. Per le parole incredule dei miei colleghi stranieri: â??Ma veramente in Europa si può fare questo?â?. Per la faccia con cui mio figlio ieri sera mi ha chiesto: â??Ma tu cosa hai fatto di male?â?  Ma restano anche le parole dell'ultima vittima di Unabomber: â??Grazie per aver sollevato il caso. CosĂŹ tutti potranno sapere che un terrorista ci tiene ancora in ostaggioâ?. In fondo, ne valeva la pena.

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