di Ahmad Rafat
Mercoledì al Festival cinematografico di Roma, è stato presentato un documentario. Un film dal titolo insolito: E’ tuo il mio ultimo respiro?. Potrebbe sembrare il solito film di amore, ma è un documentario di 74 minuti, realizzato da Claudio Serughetti. L’ultimo respiro è quello dei condannati a morte, mentre salgono sul patibolo, prima di essere assassinati. Perché di assassinio si tratta, anche se la pena di morte è stata inflitta da un tribunale e da giudici anziché da una banda di mafiosi e malavitosi. Serughetti ha intervistato decine di persone, dalla gente comune incontrata nelle piazze e nei mercati romani, fino a premi Nobel come Dario Fo e Adolfo Perez de Esquivel. Parlano con il regista della pena di morte anche Bernardo Bertolucci, Peter Gabriel e Oliviero Toscani, il noto fotografo che tra l’altro ha realizzato qualche anno fa una bellissima mostra di foto scattate nei bracci di morte delle carceri statunitensi e africane.
Il film, che presto sarà distribuito nei cinema da Cinecittà – Luce, ha tre principali obiettivi, come ha precisato Serughetti nel corso del dibattito che ha preceduto la prima del film al festival romano. Informare, analizzare e possibilmente emozionare, sono i tre obiettivi prefissi dall’autore di questo documentario che forse gli italiani non avranno mai la possibilità di vedere sul piccolo schermo. “Immagini troppo crude e dure”, è quanto dicono i responsabili dei palinsesti delle televisioni, quando vengono loro proposti documentari come “E’ tuo il mio ultimo respiro?”. Certamente vedere impiccare un adolescente in Iran, o fucilare una donna in una pubblica piazza in Cina, non sono immagini soft e facili da digerire, ma se siamo costretti a sopportare ore e ore di dettagli durante ogni pasto e su tutti i canali televisivi, pubblici e privati, sulla tragica morte di Sarah e su altri delitti simili, non vedo nessuna ragione credibile nel non veder passare un documentario sulla pena capitale.
Beppe Giulietti, presente al dibattito che ha preceduto il documentario di Serughetti, ha lanciato un appello al servizio pubblico televisivo, chiedendo la trasmissione di questo ed altri documentari sulla pena di morte. Personalmente ho proposto al regista e alla distribuzione del film di organizzare proiezioni nelle scuole, seguite o precedute da dibattiti, perché come ha detto Oliviero Toscani, un domani i nostri nipoti non ci rimprovino perché non abbiamo fatto nulla per evitare questa ingiusta punizione che tutto sembra meno che un atto di giustizia.
Nel documentario, com’è esplicito nel titolo, il regista pone alcune domande, e lascia ai suoi noti e sconosciuti interlocutori l’onere di dare delle risposte. C’è un’alternativa al dilemma di punire un omicidio commettendo un altro omicidio? Si può reprimere un crimine attraverso un altro crimine? E’ possibile sfuggire alla logica dell’occhio per occhio, per non diventare tutti ciechi come diceva Gandhi?
Il dibattito ovviamente non poteva ignorare la preoccupazione della comunità internazionale sulla sorte di Sakineh Mohammadi Ashtiani, questa donna iraniana di 43 anni, madre di due ragazzi, che attende l’esecuzione di una condanna a morte attraverso la lapidazione, che forse sarà tramutata in impiccagione. Notizie che giungono dalla Repubblica Islamica sono allarmanti. Anche il figlio di Sakineh, Sajjad è stato arrestato e pare torturato in carcere. Insieme a Sajjad è finito in carcere anche Javid Hutan Kian, il secondo legale della donna. Il precedente legale, Mohammad Mostafaii ha dovuto abbandonare il paese e rifugiarsi in Norvegia. In carcere anche due giornalisti tedeschi, che si erano recati in Iran per intervistare il figlio e l’avvocato della donna. In una cella anche un altro avvocato che aveva ricevuto l’incarico di difendere i due giornalisti tedeschi.
Il documentario di Claudio Serughetti è stato realizzato in collaborazione con Nessuno Tocchi Caino, rappresentato al dibattito che ha preceduto il primo del film, da Sergio D’Elia, segretario dell’organizzazione. Sul palco presenti anche in rappresentanza delle istituzioni, il sottosegretario ai Beni e Attività Culturali, Francesco Maria Giro, il Presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, nonché l’avvocato Luciano Sovena, Amministratore Delegato di Cinecittà-Luce. Numerosi anche i registi presenti in sala a cominciare da Giuliano Montaldo, per testimoniare con la loro presenza che è giunta l’ora di fermare i boia e salvare tutti i Sakineh dei paesi dove ancora la pena di morte non è stato messo al bando.