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Articolo 21 - ESTERI
Frattini e Gheddafi
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di Francesco Peloso

Frattini e Gheddafi

dal Blog Il mondo di Annibale
A giudizio del ministro degli Esteri Franco Frattini, il modello istituzionale di riferimento per i popoli del Maghreb – dall’Algeria all’Egitto, dal Marocco alla Tunisia – è quello di Muammar Gheddafi. Lo ha dichiarato egli stesso in un’intervista esemplare al “Corsera” del 17 gennaio il cui senso è il seguente: meglio dittature o  regimi autoritari laici che il prevalere del fondamentalismo islamico. Del tutto preclusa resta invece, secondo il capo della nostra diplomazia, la strada della democrazia per chi vive sull’altra sponda del Mediterraneo. Curioso davvero per chi, dell’esportazione di un prodotto così prezioso,  aveva fatto una religione e un motivo sufficiente per scatenare il lungo e sanguinoso conflitto iracheno. Ma erano altri tempi, grandi armate e grandi crociate partivano dall’Occidente per svelare all’Oriente i segreti del parlamentarismo all’inglese. Ora Frattini, più modestamente, si è ritagliato un personale posto al sole nella fragile politica estera europea, come difensore dei cristiani vittime di persecuzioni nel mondo.

Dall’Indonesia alla Cina, dal Venezuela all’Iraq, dall’Egitto al Libano alla Nigeria, tutto il mondo è teatro di una congiura anticristiana. Senza differenze, sfumature, sottigliezze diplomatiche: la battaglia è definitivamente e dichiaratamente ideologica. E però speculare, guarda caso, a quella dei fondamentalisti islamici tipo Al Qaede i quali, con uguale semplificazione, posso mettere nel mazzo del martirio musulmano i palestinesi, gli iracheni, gli afghani, e i perseguitati politico-religiosi nei Paesi del Nord Africa. Due metà della stessa mela, un modo elementare di guardare al mondo, di sfuggire alla complessità e alla fatica della politica e della mediazione, del negoziato, della costruzione di spazi di libertà e di diritto progressivi e radicati nelle singoli realtà nazionali o continentali. In questo senso va detto che Frattini è coadiuvato in questa impostazione dalla nuova linea diplomatica vaticana schierata ormai lungo una deriva definitivamente identitaria e occidentale che mortifica quel principio di universalità proprio del cattolicesimo.

E’ in questo quadro che Ben Ali e la moglie in fuga con quintali d’oro dalla Tunisia e inseguiti dalla popolazione affamata, possono diventare, nelle parole del nostro ministro degli Esteri, esponenti lungimiranti capaci di limitare l’estremismo religioso. Allo stesso tempo Gheddafi, con la sua affinata capacità repressiva, si trasforma in un modello per tutta la regione e l’immarcescibile leader egiziano Hosni Mubarak che trucca tutte le elezioni una dopo l’altra per rimanere al potere, un saldo punto di riferimento.

C’è da considerare, certo, che alcuni di questi Paesi hanno aiutato il governo italiano in carica a limitare in qualche modo l’immigrazione proveniente dall’Africa e poco importano i mezzi cono cui l’obiettivo è stato realizzato: i diritti umani, nella visione della politica estera di casa nostra, non sono da tempo una priorità. C’è poi con la Libia in particolare un legame, come dire, energetico, e quindi l’ossequio al colonnello è d’obbligo. Resta, in questi lunghi giorni di crisi istituzionale e civile che sta vivendo l’Italia, una sensazione. Quella di una vicinanza, di una somiglianza quasi antropologica, fra le vicende italiane e i fatti che avvengono sulle sponde opposte del Mediterraneo, quasi che Roma fosse alla fin fine assai più vicina a Tunisi e Tripoli, piuttosto che a Parigi e Berlino.
 

 


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