di Luigi Gentile
Finalmente qualcosa si muove, finalmente qualcuno ne parla e ne scrive. Mi riferisco al caso giudiziario di Paolo Dorigo, detenuto da oltre dieci anni, attualmente rinchiuso nel carcere di Spoleto dove dal 1° giugno sta attuando lo sciopero della fame. Un caso che sembra uscire dalla clandestinità , grazie al lavoro in primo luogo di Rifondazione comunista e all'impegno di un gruppo di parlamentari, da Giovanni Russo Spena a Giuseppe Giulietti, a Luana Zanella. Avvocati e comitati di solidarietà al "militante comunista", come Dorigo si autodefinisce, evidentemente non bastavano a richiamare l'attenzione dei grandi mezzi d'informazione su una vicenda che ha risvolti incredibili e indecenti. Una vicenda rimasta troppo a lungo "confinata" sulla stampa locale veneta, trovando udienza al massimo sul Manifesto.
Bene ha fatto a darne notizia Articolo 21, così come il Tg3 e l'Unità del 16 luglio. Si spera che altri seguano. Dorigo, veneziano, 45 anni, è stato condannato nel 1994 a 13 anni e sei mesi di detenzione per aver gettato una bottiglia molotov contro il muro di cinta della base Usaf di Aviano il 3 settembre 1993. Lui si è dichiarato innocente. Non ha mai ricevuto alcun beneficio (Legge Gozzini, eccetera) e d'altra parte, salvo che negli ultimi tempi, non ne ha mai chiesti. Ha sempre preteso, invece, la piena attuazione dei regolamenti carcerari e ha eventualmente denunciato la mancata applicazione delle leggi nei penitenziari. Chiede da anni, inoltre, di essere sottoposto a specifici esami per verificare la presenza di un microchip, che gli sarebbe stato inserito a sua insaputa sotto la pelle, dietro un orecchio, approfittando di una degenza in infermeria. Un microchip che costituirebbe una sperimentazione di forme estreme di controllo di volontà e comportamenti.
Vero o no, fatto sta che Dorigo denuncia disturbi fisici notevoli e sofferenza. Detto questo, del caso è importante parlare perché è un esempio di cattivo funzionamento dello stato di diritto. La Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nel 1999 ha infatti definito iniquo il processo in Corte d'assise di Udine che ci è concluso con la condanna di Dorigo, perché la sentenza si basa sulle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia rese in fase istruttoria e non ripeture in aula. Non solo, da allora la Corte auropea di Giustizia ha più volte sollecitato l'Italia a celebrare un giusto processo, fino ad arrivare a definire Dorigo "parte lesa". Eppure nel nostro Paese si continua a fare finta di nulla.
Dorigo può continuare a rimanere in carcere e, anzi, può continuare a starvi sottoposto a rigide forme di censura: niente visite di amici, non può incontrare le persone con cui collaborava nella sua attività artistica (aveva cominciato a esporre i suoi quadri con positivi riscontri della critica), posta cotrollata, eccetera. Ecco perché Paolo Dorigo sta facendo lo sciopero della fame ed ecco perché fare conoscere il suo caso è doveroso.