di redazione
Cari amici, colleghi,
mi rivolgo a voi con il cuore gonfio di tristezza. Un cuore che ha conosciuto intimamente la persecuzione del regime islamico in Iran, un regime che ha brutalizzato la mia vita e il mio lavoro. La condizione di Jafar e Mohammad non è solo quella di due cineasti iraniani o del cinema iraniano, è la condizione della comunità artistica del mondo intero. Ciò che è accaduto ai miei colleghi è la punta di un gigantesco iceberg di brutalità e ingiustizia che affligge l’Iran.
Perché tale ingiustizia non sia mai dimenticata, suggerisco umilmente quanto segue:
1 – Tutti i cineasti che presentano un film ai festival del cinema in tutto il mondo, aggiungano un titolo di testa che esprima solidarietà a Jafar e Mohammad. Il titolo potrebbe recitare: “Questo film è dedicato a Jafar Panahi e Mohammad Rasoulof”, oppure: “Un film realizzato da Jafar Panahi e Mohammad Rasoulof”, come simbolico gesto di protesta contro il regime iraniano.
2 – Propongo anche che ogni festival del cinema del mondo istituisca un nuovo premio da assegnare ai cineasti che con i loro film, abbiano dimostrato un forte impegno a favore dei diritti umani e della giustizia sociale. Il premio dovrebbe chiamarsi: “Premio Rasoulof/Panahi per il Coraggio Artistico”.
Grazie
Babak Payami
Lettera aperta di Jafar Panahi
Il mondo di un cineasta è contraddistinto dall’interazione tra realtà e finzione. Il cineasta usa la realtà come ispirazione, la dipinge con i colori dell’immaginazione, creando film che sono la proiezione delle sue speranze e dei suoi sogni.
La realtà è che negli ultimi cinque anni mi è stato impedito di fare film e adesso sono ufficialmente condannato alla privazione di questo diritto per altri vent’anni. Io però so che nella mia immaginazione, continuerò a trasformare i miei sogni in film. So anche che come cineasta con una coscienza sociale, non potrò rappresentare i problemi e gli assilli quotidiani della mia gente, ma non negherò a me stesso la possibilità di sognare che fra vent’anni, tutti i problemi saranno stati risolti e io potrò fare film che parlino di pace e di prosperità nel mio Paese.
La realtà è che mi hanno privato della possibilità di esprimere il mio pensiero e di scrivere per vent’anni, ma non possono impedirmi di sognare che fra vent’anni, l’inquisizione e le intimidazioni lasceranno il posto alla libertà e al libero pensiero.
Mi hanno privato della possibilità di vedere il mondo per vent’anni. Spero che quando tornerò libero, potrò viaggiare in un mondo senza barriere geografiche, etniche e ideologiche, un mondo in cui la gente conviva liberamente e in pace, a prescindere da credenze e convinzioni personali.
Mi hanno condannato a vent’anni di silenzio. Eppure nei miei sogni, auspico a gran voce un’epoca di tolleranza, in cui potremo rispettare le opinioni altrui e vivere l’uno per l’altro.
Infine, la realtà della mia sentenza è che dovrò passare sei anni in prigione, durante i quali vivrò nella speranza che i miei sogni diventino realtà. Auspico che i miei colleghi cineasti di tutto il mondo realizzino dei grandissimi film, in modo che quando uscirò di galera, sarò ispirato a continuare a vivere nel mondo che hanno sognato.
Dunque d’ora in poi, e per i prossimi vent’anni, sarò ridotto al silenzio. Costretto a non vedere, costretto a non pensare, costretto a non fare film.
Mi sottometto alla realtà della cattività e dei miei secondini. Cercherò la manifestazione dei miei sogni nei vostri film, sperando di trovare in essi quello che mi è stato tolto.